domenica 20 gennaio 2013

Il Gennaio di Chaaria


Una delle novita’ di quest’anno, e’ che non  abbiamo’ piu’ il collegamento ad Internet: questo vuol dire che sto vivendo la realta’ di Chaaria, ma non ne leggo i resoconti che  Fr.Beppe invia al blog con la sua chiavetta Safaricom. 
Allora cerchero’ di raccontare come, secondo me, e’ la situazione attuale.

Lo sciopero del personale infermieristico degli ospedali governativi e’ ad oltranza, ma Chaaria e’ aperto e continua a lavorare. 
Mi vengono in mente diversi termini per descrivere il momento che, peraltro, dura da mesi. Tsunami, mareggiata di maestrale sugli scogli, fiume in piena: la sensazione di essere travolti da una massa di persone per cui Chaaria e’ l’ultima e l’unica possibile risposta, anche per la continua crescita qualitativa delle prestazioni. 
Ogni giorno, festivi compresi, centinaia di pazienti ambulatoriali, decine di ricoveri, interventi programmati fino a tardo pomeriggio, spesso dilazionati per le urgenze. 
Tutte le mattine decine di donne prossime al parto sfilano davanti alla Maternità per la visita di controllo, con quella buffa camminata da pancione e gli occhi dolci per l’attesa. 
Tagli cesarei a tutte le ore, anche cinque o sei al giorno, purtroppo anche molti aborti, spontanei e non, da trattare, gravidanze extrauterine  che mettono a rischio la vita della donna. 


 
I numeri sono da brivido: a tutt’oggi circa 600 ricoveri con punte di 65 malati per 40 letti, di 25 bambini (con mamma) che dormono in 15 letti. Se lo scorso anno sono stati praticati 2887 interventi chirurgici, a questo ritmo si potrebbe arrivare ad oltre 4000! 
Ma Chaaria resta aperta anche alle circoncisioni rituali ed altre pratiche che potrebbe essere dilazionate.

E’  un grande motivo di orgoglio non aver ridotto alcuna attivita’ ed una grande risposta che Fr.Beppe, i fratelli, tutto il personale ed i volontari stanno dando. 
Ma pensiamo anche alla lavanderia, alla cucina alle pulizie. Oggi abbiamo dovuto sospendere, provvisoriamente, le medicazioni perche’ le garze erano finite: la loro preparazione non tiene dietro il consumo e due volontarie chirurghe si sono messe a tagliare e piegare garze.

Tutto questo ha, ovviamente, un prezzo: grande stanchezza, essere sempre un passo indietro, qualche difficolta’ nei collegamenti interni, momenti di nervosismo, il rischio di errori per il poco tempo disponibile nel discutere i casi. 
Credo che cio’ sia molto piu’ difficile per i volontari che affrontano Chaaria per la prima volta e si trovano in questo turbine mai visto, con protocolli diversi, risorse diagnostiche modeste, con tutti che sfrecciano da una parte all’altra dell’Ospedale e non ti possono dare molto retta. Ma e’ un momento speciale che, certo, ci ricorderemo.

Anche chi e’ recentemente partito, Luciano e Francesca, sarebbero rimasti volentieri a condividere questa battaglia.

Ci sono anche aspetti che ci incoraggiano ed aiutano. La nuova Sala Operatoria e’ veramente bella, spaziosa, ben condizionata le lampade scialitiche danno una luce fantastica, sicuramente ci si affatica meno.

(A me piace pero’ anche, per motivi sentimentali, operare nella vecchia Sala, che continua il suo onorevole servizio).

I sei Clinical Officers e le Infermiere sono motivati, collaborativi al massimo efficienti; anno dopo anno si vede un reale progresso.

Poi il clima e’ magnifico, le notti stellate la frutta dolcissima ed a chilometri zero perche’ arriva dall’orto di Chaaria. Cosa volere di piu’. 

Max Albano








Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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