Sone le 4.45 del mattino.
Non ho dormito quasi nulla grazie all’ameba che ha causato un cataclisma all’interno
della mia pancia: mi sono rigirato nel letto per ore tra i crampi, aspettandomi
sempre la prossima occasione per correre sul water.
Le mie condizioni
generali non sono delle migliori, quando improvvisamente suona il cicalino:
“Doctor, Peninah vuole
che tu venga ad aiutarla in maternita’, ma non si tratta di cesareo…”
Mi alzo svogliatamente e
mi dirigo verso l’ospedale. Mi rattrista udire il rombo del generatore: siamo
di nuovo senza luce.
Peninah non e’ in sala
parto, ma in room 20. E’ alle prese con una giovane donna gravida, con
convulsioni continue. Le ha gia’ praticato del valium in vena, e le tremende scosse
che deformano la sua bellezza diciottenne si stanno riducendo, anche se il
respiro e’ davvero terribile: sembra ormai in edema polmonare.
“La pressione arteriosa
e’ alle stelle”, ansima Penina, chiaramente in preda al panico.
“Da quanto tempo e’ in
ospedale?”
“E’ arrivata da pochi
minuti e non sappiamo nulla di lei perche’ e’ giunta sola, ed ora e’
incosciente”
Con il piccolo ecografo
portabile tento una difficilissima eco al letto, con malata estremamente
agitata e trattenuta a fatica da Dorothy ed Evanjeline: il feto e’ vivo. Il
battito cardiaco e’ presente, ma siamo di fronte ad una gravidanza di circa 8
mesi. Il bambino e’ piccolo… troppo piccolo per un cesareo. Non so bene cosa
sia meglio fare.
Ricordo con dolore quanto
mi e’ capitato alla vigilia di Natale. Era un caso simile, anche se meno grave.
Ho deciso di estrarre il bambino chirurgicamente, per salvare la vita della
madre. All’inizio sembrava la decisione giusta, in quanto il piccolo aveva pianto
subito, nonostante il fatto di essere meno di due chili di peso corporeo; poi pero’, le sue condizioni respiratorie
erano precipitate rapidamente, fino alla sua morte, dopo meno di due giorni.
Ho quindi ritenuto meglio
non ripetere l’esperienza e cercare di abbassare la pressione con terapia medica,
in modo da permettere un parto a termine o un cesareo quando il feto sara’
grosso abbastanza da non avere problemi nel periodo postnatale.
Ma in medicina e’ sempre
molto difficile fare la scelta giusta.
Doris peggiora
rapidamente, nonostante gli anti-ipertensivi in vena, il fenobarbitone ed i
diuretici. La pressione continua a salire ed arriviamo a 280/150.
Ormai i suoi polmoni sono
cosi’ pieni d’acqua che le esce schiuma dalla bocca.
“Operiamo lo stesso,
anche se il feto morira’, almeno per tentare di salvare la giovane mamma”.
“Pensi che Jesse tentera’
un’anestesia in una situazione tanto disperata?”
“Non lo so. Per ora
svegliamolo”.
Poi il caos.
Prima dell’arrivo
dell’anestesista, la paziente inizia a vomitare materiale nerastro (certamente
sangue) dalla bocca e dal naso.
“Corri a prendere l’aspiratore!”
Ma tutto sta andando in
sfacelo. Il respiro, dapprima stertoroso, si fa periodico e poi cessa del
tutto: alzo lo sguardo e vedo Jesse insonnolito:
“Prendi l’ambu, e
comincia a massaggiarla”
Il vecchio anestesista
pompa ritmicamente sul torace della donna, e mi indica quando insufflare
ossigeno:
“Uno, due, tre… pompa.
Uno, due, tre… pompa!”
“Peninah, come sono le
pupille?”
“Dilatate e fisse. Non
rispondono alla luce”.
“Per favore, prendi il
fonendo e prova a verificare se c’e’ attivita’ cardiaca”.
“Nulla!”
Ci guardiamo sconsolati e
sconfitti.
“Cerca il fetoscopio e dimmi
se il bimbo per caso e’ ancora vivo”. Passano attimi eterni, in cui osserviamo
la nostra infermiera curva sul cadavere ed intenta ad ascoltare con attezione,
cercando improbabili segni di vita.
“Anche il battito fetale
e’ scomparso”.
“Sconfitta totale. Alla
vigilia di Natale abbiamo perso solo il feto. Oggi abbiamo perso anche la
mamma”.
Nessuno parla. Peninah
rimuove la flebo in silenzio. Jesse scuote la testa mentre pulisce l’ambu
imbrattato di sangue. Evanjeline piange senza falsi pudori. Io mi siedo
scoraggiato e scrivo in cartella quanto e’ successo.
In pochi minuti il nostro
team si dissolve. Jesse torna a casa, ed io vado in cappella quando gia’ sono
iniziate le lodi mattutine: parlero’ a Dio di questa nuova disfatta di fronte
alla forza immane della malattia.
Fr Beppe