mercoledì 30 gennaio 2013

Caro Max

Carissimo Max, 
anche questa volta e' venuto il momento di salutarti, ed anche questa volta, insieme alla gratitudine, rimane uno strano nodo alla gola ed una punta di nostalgia. Mi sei mancato da subito oggi pomeriggio quando il prostatectomizzato ha avuto ematuria il giorno seguente la rimozione del catetere. 
Quanto lavoro abbiamo fatto in questo periodo durissimo ed esaltante di Chaaria: avevi paura di aver dimenticato e di non essere piu' all'altezza, ed invece la tua innata natura chirurgica e' venuta fuori subito e ci hai dato tantissimo, non solo con tutti gli interventi chirurgici che hai fatto, ma anche con il tuo stringente ragionamento clinico, con la tua disponibilita' a visitare in ambulatorio e con il tuo preciso lavoro di follow up degli operati.
Per me e' stato un mese durissimo in cui purtroppo a volte la stanchezza ha fatto si' che io non riuscissi piu' a dominare la mia emotivita': a volte sono stato intrattabile... lo so bene; altre volte incutevo timore con il mio umore terreo o troppo nervoso. 

 

Tu sei stato paziente sempre; hai sopportato le mie lune e hai fatto da mediatore con chi non mi conosce bene e avrebbe potuto pensare che io sia solo una persona dal carattere impossibile. 
Grazie anche di questo aspetto che sempre ha fatto parte della tua amicizia "paterna" verso di me. 
Grazie per tutti gli interventi che hai fatto da solo, togliendomi molto lavoro, e grazie di quelli che abbiamo fatto insieme: e' sempre un piacere lavorare con te. 
Spero che il Signore ci conceda ancora di lavorare insieme l'anno prossimo. 

Fr Beppe 

Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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