lunedì 14 gennaio 2013

The mango syndrome


Cosi’ chiamiamo l’epidemia di fratture spesso molto brutte, a cui assistiamo tutti gli anni a dicembre e gennaio.
La sindrome per forza di cose colpisce di piu’ bambini e adolescenti che si avventurano sugli alberi di mango alla ricerca dei loro frutti prelibati e si scordano che i grossi rami sono in realta’ molto fragili. Si tratta quindi quasi sempre di fratture da caduta da un albero.
Per la prima volta quest’anno abbiamo avuto la presenza del Dr Luciano Cara nel periodo della “mango syndrome”, e di questo dobbiamo sinceramente ringraziare la Divina Provvidenza, in quanto moltissimi pazienti hanno avuto i loro problemi risolti grazie alla possibilita’ di riduzioni e fissazioni interne.
Gli interventi eseguiti sono stati moltissimi, e tutti con esito positivo. 

 
Il lavoro dell’ortopedico e’ stato complicato dal fatto che questo mese non sembra affetto solo dalla “mango syndrome”, ma pure da un sacco di incidenti della strada e da una tremenda escalation di violenza da “panga”: le pangate sono costate ore ed ore di tenorrafie e di riduzioni ossee (dita e braccia fratturate, rotule spezzate in due, ecc).
Stiamo lavorando come delle bestie, ed i ritmi sono al limite dell’umana sopportazione anche a causa di un incomprensibile sciopero del personale infermieristico che non accenna a finire.
Siamo comunque molto contenti dei risultati ottenuti, e soprattutto delle molte persone che stiamo aiutando.
Abbiamo la lingua fuori per la stanchezza, ma anche il sorriso sulle labbra ed una grande pace interiore che deriva dalla consapevolezza di donare proprio tutto.

Fr Beppe 
 

 

Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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