lunedì 18 marzo 2013

Servire in ginocchio

Quello di oggi non e’ altro che un’icona della vita di Chaaria; e’ un quadretto commovente che ci aiuta a riprendere forza e ci da’ coraggio.

La pediatria e’ nuovamente al tracollo; la malaria e’ in forte ripresa e falcidia le sue vittime.

Abbiamo bambini dovunque, e letti su cui poniamo due o tre pazienti.

Spesso anche questo non basta per sopperire al fabbisogno crescente, e ci ritroviamo di sera a dover mettere dei materassi per terra.

Stasera sono passato dalla pediatria e sono stato colpito da due cose: la prima e’ stata che le mamme cantavano e pregavano animatamente, tutte insieme, come in una chiesa affollata. Non c’era nessuno a guidarle: era un’orazione spontanea, dettata dall’innato senso di Dio che i popoli africani hanno nel cuore.

La seconda e’ stata la contemplazione di Alina, la volontaria polacca. Era in un angolo della camera, inginocchiata per terra, al fine di poter dar da mangiare ad un bambino piccolo ricoverato per erniorrafia ed ora giacente sui materassi aggiunti sul pavimento.


 

E’ stato commovente vederla in quei gesti materni, in quella posizione quasi contemplativa (era inginocchiata come fanno i giovani a Taize’), e con una espressione di serenita’ e gioia sul volto.

Mi sono commosso ed un brivido mi ha attraversato la schiena.

E’ stato immediato per me ripensare a San Giuseppe Cottolengo, quando ci dice: “se davvero sapesti chi sono i poveri, continuamente li servireste in ginocchio”.

E’ vero che si tratta solo di un’icona, e che probabilmente Alina lo stava facendo solo per stare piu’ comoda nel raggiungere la bocca del piccolo... ma vederla in quell’atteggiamento, in una stanza che rimbombava di canti religiosi, mi ha veramente toccato e mi ha riportato alla mente un’altra espressione della tradizione cottolenghina: “nella Piccola Casa non sai quando finisce in reparto e quando comincia la chiesa”.



Sono uscito dalla pediatria con una lacrimuccia agli occhi, e sono andato a letto con il cuore gonfio di commozione.

L’ho sempre pensato che Chaaria riproponga oggi tante situazioni che venivano vissute quotidianamente ai tempi del fondatore.

A volte Chaaria e’ dura e sconvolgente, ma spesso e’ anche commovente e piena di suggestioni umane e religiose.



Fr Beppe 


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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