martedì 9 aprile 2013

Momenti tremendi in sala


La prostatectomia rimane l’operazioni con piu’ incognite, sia in sala che fuori durante il post-operatorio.
Fare l’intervento per una persona che ha un catetere sovrapubico perche’ quello penieno non passava, e’ in genere un suicidio per il chirurgo.
Oggi pero’ ho ceduto alle pressioni ed alle lacrime di un paziente del Nord: povero, analfabeta, completamente incapace di biascicare anche solo una parola di kiswahili, mi ha fatto proprio pena.
Gli avevo messo il “sovrapubico” io stesso un mese fa, perche’ non ero ruscito a passare con un catetere tradizionale.
Avevo anche fatto una biopsia prostatica nella quasi certezza che una stenosi cosi’ impenetrabile avrebbe per forza dovuto essere neoplastica...
Invece la biopsia e’ risultata negativa, e quindi non avevo molti argomenti per continuare a rifiutare l’intervento.
Oggi sono entrato in sala con molta paura.





Ho rienpito la vescica d’acqua, usando il catetere sovrapubico come unica via d’accesso.
Le prime difficolta’ le ho poi incontrate nell’isolamento della vescica, a causa di tantissime e tenaci aderenze sia ai muscoli che al peritoneo.
Nonostante tutto, con timore e pazienza, sono riuscito ad aprire la vescica, senza lacerarla troppo e senza entrare in peritoneo.
La prostata non era grossissima, ma e’ stata assai difficile da estrarre perche’ molto adesa alla capsula... forse a motivo di ripetute prostatiti.
Pian piano pero’ l’estrazione dell’adenoma e’ stata possibile, usando anche pinze e forbici, oltre alla classica digitoclasia.
La sutura della loggia non ha presentato grosse difficolta’ ed il sanguinamento e’ stato controllato abbastanza facilmente.
L’angoscia e’ iniziata quando si e’ trattato di inserire il catetere.
Il “tre vie” numero 24 non riusiva neppure a passare per l’uretra peniena. Il paziente aveva dunque anche stenosi uretrale.
Ho quindi optato per un piccolo catetere di nelaton numero 12. La mia intenzione sarebbe stata quella di attaccarci un filo guida, e di fare poi da “trenino” per il catetere a tre vie. Invece nulla da fare: non passava neppure il semirigido di piccolo calibro, a motivo di una barriera lignea a livello dell’uretra prostatica.
Avevo voglia di piangere, ma mi sono fatto forza ed ho usato dei dilatatori uretrali metallici.
Sicuramente il mio cliente aveva stenosi uretrali multiple e serrate. Dopo vari tentativi falliti sono alla fine riuscito a passare con il piu’ piccolo di tutti i dilatatori. Ho quindi deciso di legare un filo di seta alla punta di tale strumento che era giunta in vescica. Estraendo il dilatatore metallico mi sono portato dietro anche il filo, di cui ora avevo un capo in vescica ed un altro al di fuori del meato uretrale esterno. Ho legato quest’ultimo capo alla punta del catetere ed ho tentato di passare usando il filo come traino. Anche questo tentativo e’ pero’ miserabilmente fallito.
Stavo ormai cadendo nella disperazione piu’ profonda, in quanto la loggia prostatica avrebbe continuato a sanguinare senza il palloncino del “foley” che avrebbe dovuto fare da emostatico.
Con un sentore di scoraggiamento ho deciso di provare ad usare un “20 a tre vie” che mi era giunto dall’Italia. L’ho armato con il mandrino metallico ed ho provato ancora. Il primo tentativo e’ andato male ed ha creato una “falsa via”: probabilmente la punta del mio catetere e’ andata a finire nel sottocute del perineo. Poi pero’, quasi per miracolo, ci sono riuscito. Quando abbiamo visto la punta del catetere apparire in vescica, tutti abbiamo tirato un sospiro di sollievo, mentre Pasqualina, che dall’inizio della crisi si era messa a pregare, ha gridato con gioia: “alleluya!”.
Da quel momento l’operazione e’ continuata in modo del tutto liscio, ed ora il lavaggio continuo del malato e’ “chiaro”, anche se lui e’ un po’ fuori di testa, come succede spesso agli anziani dopo la spinale.
Oggi e’ stata un’esperienza tremenda, che ancora una volta mi ha riempito di timore reverenziale nei confronti della prostatectomia.
Altra lezione che oggi ho reimparato a mie spese e’ di non lasciarmi intenerire dalle suppliche dei malati: se hanno il sopvrapubico e’ meglio che se lo tengano finche verra’ un chirurgo esperto dall’Italia che mi possa fare da spalla e da mentore in caso di situazioni disperanti come quella di oggi.
Inoltre le stenosi uretrali sono sempre un nemico da temere quando si opera un paziente con catetere sovrapubico.
Oggi e’ finita bene, ma non voglio neppure pensare a cosa avrebbe potuto succedere se davvero non fossi riuscito ad unserire un catetere.

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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