venerdì 5 aprile 2013

Piantala di piangerti addosso


Ha delle escrescenze bluastre su tutto il corpo. Sono dei bubboni duri e dolenti alla palpazione. Quelli sul volto gli conferiscono un aspetto grottesco e mostruoso.
Alcuni noduli sono chiaramente purulenti e si vede una patina di pus giallo che li ricopre.
William e’ molto irritabile e sembra arrabbiato con la vita...
“Che cos’hai da guardarmi cosi’? Lo so che sembro un mostro e che faccio schifo. Lo so che puzzo come le feci a causa dei bubboni. Sono HIV positivo, e sono sicuro che ora nessuno osera’ piu’ toccarmi o rivolgermi la parola”.
“Perche’ dici questo? Stiamo seguendo molti malati nella tua stessa condizione, ed oggi ci sono delle medicine che possono veramente ridurre la massa del sarcoma di Kaposi che ti affligge”.







“Non ci credo... e poi a che pro vivere se nessuno osera’ piu’ neppure stringermi la mano?”
A questo punto, memore degli insegnamenti ricevuti come giovane medico all’Amedeo di Savoia di Torino, gli porgo la mano diretta davanti al suo volto e gli dico:
“OK, vedi che non ho i guanti. Stringimi la mano, e questo sia per te come un segno che non puoi mai generalizzare nelle cose che dici quando sei arrabbiato. Io ti stringo la mano, ma tu devi piantarla di piangerti addosso e di fare la vittima. Ti ho detto che ci sono delle medicine. Se tu accetti di assumerle, pian piano vedrai che la puzza scomparira’, e che anche il tuo aspetto migliorera’ progressivamente”.
Questa scena e’ successa circa due settimane fa. Ora William e’ un’altra persona: ha completato un ciclo di antibiotici che hanno fatto sparire il pus dalle lesioni cutanee, e quindi non puzza piu’. Mi stringe la mano ogni mattina.
Ha le gambe molto gonfie ed ha chiesto un tripode per camminare in quanto gli fanno molto male durante la deambulazione.
L’alimentazione e’ ancora problematica: ha della masse di Kaposi sul palato e sulla lingua, ma si sforza di trangugiare brodo, porridge e purea.
Ha iniziato la terapia antiretrovirale, e mi ha chiesto quanto tempo da vivere gli sarebbe rimasto: gli ho risposto che gli ultimi studi parlano di sopravvivenze in salute anche a venti o trent’anni.
“Allora potro’ vedere i miei nipotini?”
“Certo che li potrai vedere, e magari sarai presente pure alla loro laurea!”
William ride di cuore, quando gli dico cosi’; e, anche se pensa che forse lo sto ingannando e che certo non gli rimarranno cosi’ tanti anni, ora e’ pero’ ottimista e vuole continuare a vivere, perche’ la sua missione di padre – dice lui – non e’ ancora conclusa.

Fr Beppe

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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