domenica 25 agosto 2013

Le ultime ore a Chaaria

Sono andato a letto tardi perchè la giornata è stata durissima. Era infatti quasi mezzanotte. Poi, nel bel mezzo di un sogno agitatissimo, sento bussare alla porta. E’ Fratel Giancarlo che mi chiama e mi dice che c’è un cesareo. 
Che strano che hanno chiamato lui e non me. Provo ad accendere l’abat jour, ma non succede niente. Siamo di nuovo senza corrente. A tastoni cerco la pila e mi guardo in giro. Sono le tre di mattina: la clssica ora “X” in cui non hai ancora dormito abbastanza e non riprenderai sonno quando tornerai a letto dopo il cesareo. 
Guardo il cercapersone che è spento. Sicuramente le batterie si sono scaricate, e quindi significa che la luce manca da tante ore... ecco la ragione per cui hanno provato con il cellulare di Giancarlo. 
Mi vesto alla luce fioca della pila e vado al generatore. Il ruggito potente del motore a diesel illumina la missione ed io mi dirigo verso l’ospedale accompagnato dall’inseparabile Tofi.
Giancarlo è già pronto. Mi spiace che il rientro a Chaaria per lui sia così intenso che già dalla prima notte dobbiamo essere in piedi entrambi.



Si tratta di una donna che purtroppo ha fatto una grave imprudenza: ha provato a partorire a casa, nonostante il fatto che già aveva due pregressi cesarei fatti in precedenza.
Pratico la spinale con difficoltà perchè le contrazioni impediscono alla mamma di stare ferma in posizione, ma fortunatamente il Signore guida la mia mano. 
L’anestesia prende bene, ed al livello giusto.. non troppo alta e non troppo bassa: la donna respira senza problemi e non ha dolore.
Opero assistito da Kanana, e mi rendo conto che la situazione è complessa. Ci sono aderenze causate dagli interventi precedenti e purtroppo le contrazioni hanno già causato una pre-rottura di utero. 
Rimuoviamo il feto il più velocemente possibile; il colore del liquido amniotico è inquietante, verde scuro e denso di meconio cremoso come una marmellata; il piccolo però respira e lo affidiamo all’infermiera di sala parto.
Le complicazioni iniziano però adesso: ci sono anche due lacerazioni vescicali che richiedono di essere suturate con attenzione. La donna sanguina e bisogna fare il più presto possibile, visto che di notte non abbiamo l’anestesista. Pian piano arriviamo comunque alla fine dell’operazione e tutto va liscio. 
Mamma e bimbo stanno bene. Le parlo con dolcezza e le dico che alla prossima gravidanza non dovrà assolutamente tentare il travaglio a casa, ma andare in ospedale in precedenza per un cesareo elettivo. “Mi ascolterà? Dio solo lo sa!”
Purtroppo sono già le 5.30 e tra poco bisogna alzarsi per la messa. Mi viene l’angoscia pensando che la notte seguente non avrei dormito in quanto avrei dovuto prendere due aerei per venire in Italia. Spengo il generatore e mi sdraio un po’ sul letto anche se ho la certezza che non riuscirò assolutamente a chiudere occhio.
L’ultima mattina in ospedale è caotica e piena di emozioni che prendono alla gola e fanno gonfiare gli occhi. 
Lasciare Chaaria per andare al Capitolo Generale è come partire da casa e lasciare le persone a cui vuoi bene, il lavoro che ami, i pazienti per cui dedichi la vita. Lavoro intensamente fino all’una, quasi a farmi dimenticare il fatto che sto per andare ed insieme per impedire di avere tempo per i saluti che sarebbero risultati in struggenti momenti pieni di lacrime. 
Poi, quando già era ora di salire in macchina per andare all’aeroporto, arriva una mamma poverissima con una bambina di 10 anno, la quale presenta i sintomi tipici della peritonite.
“Che angoscia! Se arrivava anche solo due ore fa avrei potuto aiutarla... invece a quest’ora non posso più; perderei l’aereo! E poi tanto questo è ciò che succederà da domani in avanti”.
Con tristezza dico quindi di mandarla all’ospedale governativo di Meru perchè questo è un tipo di intervento che il Dr Ogembo non si sente di fare.
Arrivo all’aeroporto con gli occhi gonfi ed il cuore pesante. Chiamo Fr Giancarlo pochi minuti prima che chiudano i portelloni dell’aereo verso le 22.30: “abbiamo già avuto tre cesarei e sto andando a prendere Ogembo per farne un altro”.
Io non posso fare altro che ringraziare ancora Giancarlo e chiedergli di esprimere la mia riconoscenza a Ogembo ed a tutto il personale.
La hostess mi invita cortesemente a chiudere il telefonino.
E’ tempo di resettarmi nuovamente e di mentalizzare che sto partendo.
Metto nel telefonino la scheda italiana e chiudo gli occhi mentre l’aereo rulla sulla pista: “arrivederci Chaaria! Speriamo che questo mese passi in fretta”


Fr Beppe


1 commento:

Anonimo ha detto...

certo il mese deve passare in fretta ma anche tu fr.beppe devi ricaricare il tuo corpo di nuove energie anche se sicuramente te ne dà il Signore ogni notte durante il sonno perchè io non so proprio come fai ad arrivare a...tutti - tutto. C'è proprio lo Spirito Santo che ti guida e lo preghiamo che ora che non ci sei vegli sulle tue piccole-grandi creature!!
Patrizia (e-mail maidoc@libero.it)(non sono granchè esperta di blog,computer ecc..per cui invio i commenti con anonimo...)


Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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