Mi
reco spesso da lei e la osservo mentre tiene gli occhi socchiusi, ma
se le parlo, forse proprio perché non mi capisce, gira il viso verso
di me e mi fissa con occhi velati, ma con interesse. La guardo, il
suo viso traspare ancora bellezza, in gioventù doveva essere molto
bella, inoltre è alta e ancora slanciata, porta al collo due
collane, non troppo vistose, le sue orecchie hanno buchi molto
grandi, proprio della tribù del Meru, quella alla quale lei
appartiene. L’aiuto a mangiare, sul suo comodino ci sono piatti con
cibi vari, le offro il passato, ma dopo tre cucchiai mi dice basta.
Le chiedo se vuole del Chiai (te con latte), dice no; le chiedo se
vuole uccioro (cibo base per loro, tritato di miglio), se vuole magi
moto (acqua calda), dice no, se vuole del riso, dice sempre no; poi
mi guarda e dice: “tumbacu”, passando un dito sotto il naso e
aggiungendo altre parole che non capisco. Chiamo Lidia che sta
lavando il pavimento e che capisce un poco l’italiano. “Lidia ho
capito bene? La nonna Severina vuole del tabacco da fiuto?” Lidia
le parla in Kimeru e conferma quello che ho capito; ha detto: “voglio
tabacco da fiuto”.
venerdì 9 agosto 2013
Nonna Severina
Mi
reco spesso da lei e la osservo mentre tiene gli occhi socchiusi, ma
se le parlo, forse proprio perché non mi capisce, gira il viso verso
di me e mi fissa con occhi velati, ma con interesse. La guardo, il
suo viso traspare ancora bellezza, in gioventù doveva essere molto
bella, inoltre è alta e ancora slanciata, porta al collo due
collane, non troppo vistose, le sue orecchie hanno buchi molto
grandi, proprio della tribù del Meru, quella alla quale lei
appartiene. L’aiuto a mangiare, sul suo comodino ci sono piatti con
cibi vari, le offro il passato, ma dopo tre cucchiai mi dice basta.
Le chiedo se vuole del Chiai (te con latte), dice no; le chiedo se
vuole uccioro (cibo base per loro, tritato di miglio), se vuole magi
moto (acqua calda), dice no, se vuole del riso, dice sempre no; poi
mi guarda e dice: “tumbacu”, passando un dito sotto il naso e
aggiungendo altre parole che non capisco. Chiamo Lidia che sta
lavando il pavimento e che capisce un poco l’italiano. “Lidia ho
capito bene? La nonna Severina vuole del tabacco da fiuto?” Lidia
le parla in Kimeru e conferma quello che ho capito; ha detto: “voglio
tabacco da fiuto”.
Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.
Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.
Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.
Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.
Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.
E poi, andare dove?
Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.
Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.
Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.
Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.
Questo è quello che facciamo, ogni giorno.
Fratel Beppe Gaido
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