mercoledì 6 novembre 2013

Ad un passo dal cuore, secondo Nicola

Ho finito di leggere un libro-diario di un medico e vorrei esprimere qualche mio pensiero. 
Fin dalle prime pagine ho capito che avrei potuto leggerlo tutto d’un fiato, per la piacevolezza della scrittura, ma ho preferito leggere poche pagine al giorno, perché mi permetteva di rifletterci sopra. 
A un certo punto ho detto: questo è un pazzo, uno che si comporta così è un pazzo, dunque è un santo! Non può avere una forza esclusivamente umana e genericamente caritatevole (ce ne sono tanti in giro così), deve sicuramente avere qualcosa in più che lo pone su un altro livello di azione. 
Si può o meno avere fede a livello personale, ma quando uno si comporta così come è raccontato nel libro bisogna solo prendere atto o, meglio, disporsi all’ascolto della parola, in questo caso scritta. 
Evito di soffermarmi su particolari sconvolgenti che sono raccontati quasi giorno per giorno, faccio anch’io la medesima professione, ma quello che colpisce di più in questo medico è l’approccio alle “persone” non ai “malati”. 



Le parole che mi hanno illuminato e fatto comprendere l’essenza del messaggio del libro sono a pagina 133, appena tre righe: “Il potere dell’amore materno… Pensare a questo mi confonde sempre, e mi fa bene. Vorrei saper imitare la dedizione, la costanza e la forza di questo amore”. 
Ecco il segreto di questo medico! Essere talmente umile da apprendere qualcosa da chi è povero, come per esempio le mamme di Chaaria. L’umiltà evangelica di Cristo, come lui sostiene in queste pagine esemplari, che sono prima di tutto testimonianza di una fede. 
Le parole della fragile Doreen (pag.144), infine, rappresentano fortemente l’anelito di riscatto di questo popolo e, spero, un duro monito a noi “mzungu”: “Sono sicura che la maggior parte degli angeli del cielo sono neri”. Il titolo del libro è “Ad un passo dal cuore”. 
Per conto mio, questo medico nel “cuore” ci sta proprio tutto.
Grazie.

Nicola Samà      
(Nchiru - Kenya)


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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