La giornata è stata tremenda ma molto
organizzata. Abbiamo lavorato come orologi svizzeri ed abbiamo continuamente
operato in due sale. Il numero delle operazioni di oggi è stato altissimo, ed
abbiamo anche fatto cose importanti come una prostatectomia e varie tenorrafie
da attacco con machete.
Alle 19.30 metto il gesso ad un paziente che
avevamo suturato dopo un brutto taglio al piede che aveva segato pure tendini
ed ossa.
Vengo chiamato in sala parto per una emorragia
post partum.
La donna ha appena partorito.
Il sanguinamento è profuso ma l’utero è ben
contratto. Penso quindi ad una lacerazione cervicale da suturare ma la portio
uterina non presenta danni importanti. Il sangue viene da dentro l’utero
stesso.
Alla visita estraggo alcuni frammenti di
membrane e penso che questa sia la causa dell’emorragia. Mi appresto quindi a
preparare una revisione uterina urgente: chiamo il ginecologo, avviso Jesse e
dico a Kanana di preparare il campo. La
donna continua a ripeterci di essere molto assetata, segno che la sua volemia è
bassa. L’emoglobina è inferiore ai 4
grammi.
Mentre Massimo, Kanana e Jesse si occupano del
raschiamento, in laboratorio io seguo la determinazione del gruppo e delle prove
crociate. Di sangue in emoteca ce n’è una sacca sola, e certo questa non
basterà. La mamma è di gruppo 0 positivo, e c’è solo Fr Giancarlo a cui posso
chiedere aiuto con una donazione urgente. Io infatti ho un gruppo differente.
Dopo il raschiamento comunque il sanguinamento
continua ed è giocoforza per Massimo fare un tamponamento endouterino con
garza.
Nel frattempo facciamo dosi importanti di
oxitocina per aumentare la contrazione uterina; infondiamo liquidi alla donna
per tenere su la pressione, le pratichiamo acido tranexamico e vitamina K per
migliorare la coagulazione.
Il sangue dal laboratorio arriva a tempo di
record, e trasfondiamo velocemente due sacche. Le condizioni della donna deteriorano però velocemente, ed in una
modalità che non collima con la quantià di sangue che vedo sul pavimento e sul
lettino da parto. Non credo di vedere più di un litro e mezzo di perdite
esterne, ed inoltre stiamo trasfondendo; la donna però sviluppa “gasping”, la
pressione arteriosa precipita e diventa imprendibile, e la saturazione è di 66%
nonostante l’ossigeno che le somministriamo a go go.
L’utero si contrae bene con la terapia, ma le
perdite ematiche, seppur ridotte al minimo, non si fermano del tutto.
Con sorpresa guardiamo le braccia della malata
e notiamo che i buchi lasciati dalle cannule nei posti in cui invano cercavamo
una vena prima di reperire finalmente la giugulare, continuano a sanginare
mezz’ora dopo il nostro tentativo fallito di assicurarci un accesso.
Il quadro clinico sembra diventare più chiaro:
l’emorragia post-partum non è il solo evento contro cui stiamo lottando. Molto
probabilmente si è instaurata una CID (coagulazione intravascolare
disseminata). Il sanguinamente in questa donna è verosimilmente ovunque, e non
solo dal canale del parto: ecco perchè le perdite esterne non collimano con le
sue condizioni generali estremamente scadenti.
La CID è una condizione difficilissima da
controllare anche in Italia, e certamente richiede il trasporto in unità di
terapia intensiva. Comunque non ci arrendiamo e continuiamo la rianimazione;
ma, proprio quando ci pare che il respiro sia più regolare, e la saturazione raggiunge
in effetti il 97%, la mamma cessa di respirare.
Ci era anche passato per la testa di poter
tentare un’ isterectomia d’urgenza, ma la donna non ce ne ha dato il tempo;
inoltre, tentare un intervento in quelle condizioni e senza una rianimazione,
sarebbe stato forse temerario.
Sto ascoltando i polmoni della donna mentre
lei esala l’ultimo respiro; la sto guardando negli occhi spenti. La lunghezza
dello stetoscopio mi obbliga ad una distanza ravvicinata da quel volto sfinito.
Vedo in faccia la morte mentre si impadronisce di quella mamma, la avvolge e la
porta via senza che lei abbia la forza nemmeno di un ultimo respirone forte.
Semplicemente la respirazione si ferma di botto, senza un tremito del corpo,
mentre ancora il fonendoscopio è sul torace. Lo sposto un attimino e lo dirigo
sul cuore, ma anch’esso si è fermato per sempre.
Mi sento come se avessi tentato di sostenere
la povera paziente per una mano mentre stava precipitando in un burrone, mentre
il sudore delle nostre mani l’aveva fatta scivolare via nel vuoto sotto i miei
occhi sbarrati.
Ci è scappata dalle mani; l’abbiamo vista
precipitare e ci siamo sentiti impotenti.
Sono le 22.30. Il nostro umore è terreo. La
donna giace esanime sulla barella della sala parto da cui non si era più mossa sin
dal momento in cui alle ore 19 aveva dato alla luce il suo sesto figlio, che
ora ci guarda e si succhia il dito, completamente ignaro del fatto che non vedrà
mai la sua mamma e mai si allatterà al suo seno.
Il libro di Giobbe dice. “Il Signore ha dato;
il Signore ha tolto... sia benedetto il nome del Signore”.
In questo momento però non riesco a pregare;
non mi rimane che abbassare il capo ed accettare l’ineluttabile, soffocando
l’inevitabile domanda “perchè?” a cui comunque non troverei una risposta.
E’ successo! Abbiamo fatto tutto quello che
potevamo, ma siamo stati sconfitti! Ha vinto la morte!
Massimo mi ricorda che la mortalità
peri-partum è un dato di fatto da accettare, e che non è zero neppure in
Europa; questo dato numerico però non mi aiuta molto a sollevare il macigno che
mi sento sul cuore.
La defunta viene da un villaggio poverissimo
del Tharaka. Mi aspetto che l’orfanello starà con noi qui in ospedale per un
po’ di tempo, ma per ora non posso sapere niente perchè il marito non ha un
numero di telefono. Bisognerà aspettare che venga a trovare la moglie per
dargli la terribile notizia che certo non si aspetta: ha un altro bambino, ma
ha perso la sua dolce metà.
Abbiamo salvato molte vite oggi, ma quest’ultima
vicenda è una coltre di dolore che mi impedisce di gioire per le persone che
abbiamo aiutato. La tragedia a cui abbiamo assistito manda nell’oblio tutti gli
altri successi della giornata.
Sono le 23 e sono seduto nel mio studio con Fr
Giancarlo: sembra che entrambi non vogliamo andare a letto per timore di non
prendere sonno o di avere incubi ingestibili.
“Mi dispiace, Giancarlo, che il tuo sangue sia
già andato sotto terra insieme a questa povera mamma... ma certo la carità che
tu le hai fatto rimane, anche se poi il risultato finale è stato così
deprimente”.
“Non preoccuparti per il mio sangue. Mi
dispiace molto per lei... ed anche per te che sempre porti il peso di queste
morti”.
“Se facevo economia e commercio, mi sarebbe
successo molto meno”.
“Già! Offriamo tutto al Signore e preghiamo
per quella famiglia”.
Ps:
Siamo vicini ai nostri amici della Sardegna, pesantemente colpiti
dall’uragano. Abbiamo saputo dei morti e dei dispersi e preghiamo per le
famiglie colpite. Ci auguriamo che tutti gli amici ed i volontari possano
essere salvi. Sentite il nostro affetto.
Fr Beppe Gaido
Nessun commento:
Posta un commento