giovedì 7 novembre 2013

Scende la pioggia

Carissimi amici,
è arrivata la stagione delle piogge che quest’anno è particolarmente abbondante. Piove tutta la notte e spesso anche durante il giorno. 

Da una parte questo è certamente un dono di Dio, perché acqua è sinonimo di buoni raccolti e di qualcosa da mettere sulla tavola anche per i più poveri. 
Un buon raccolto assicurerà il pagamento delle rette scolastiche a tutti quei genitori sempre angosciati dal fatto che i loro figli possono essere mandati a casa dalla “Secondary School” se il denaro non arriva in tempo. 
Alcune settimane fa ho assistito al
caso di un ragazzo di Wajir (nel Nord del Kenya. Zona poverissima e tuttora alle prese con la fame, in quanto si tratta di area desertica) mandato via da una scuola superiore perché al totale della retta mancavano poche centinaia di scellini, che suo padre aveva promesso di pagare a tempi brevi.
Pioggia vuol anche dire che le cisterne dell’acqua piovana vicino alle case sono ora piene, e permetteranno di evitare i viaggi al fiume con la tanica sulle spalle almeno per qualche mese.



Però indubbiamente la pioggia è sempre un problema per il nostro Centro che si trova a più di 20 km dall’asfalto ed è raggiungibile solo attraverso strade terribilmente sconnesse, dove si sprofonda nella polvere durante la stagione secca e dove si annega nel fango argilloso durante la “rainy season”. 
Sulla strada si aprono voragini enormi che pian piano la trasformano in un torrente in piena. Spesso i ponticelli crollano sotto il peso della corrente. Le condizioni della nostra strada fanno sì che moltissimi pazienti decidano di non intraprendere il cammino faticoso per raggiungere Chaaria, sempre così sperduta e poco collegata. 
Quando possono si recano ad un centro vicino a casa, ricevendo lì qualche cura del caso e rimandando di qualche settimana la visita al grande ospedale.
Altri decidono di fare a meno dell’ospedale completamente: si rivolgono a guaritori tradizionali o decidono per esempio di partorire a casa, aiutate da levatrici non qualificate.
C’è poi da dire che in una cultura di sopravvivenza come la nostra i lavori dei campi prendono il primo posto su tutto: nessuno penserebbe ad una cura odontoiatrica quando c’è da togliere l’erbaccia nel campo; e se ci sono alcune ore di sole, si corre nella “shamba” con la “panga” in mano, cercando di completare il lavoro prima che riprenda a diluviare.
Per noi poi tutto diventa più difficile: il camion delle medicine non arriva fino a Chaaria perchè altrimenti rimane impantanato. 
Siamo noi che dobbiamo andare a prendere i farmaci a Meru con non pochi rischi per chi guida.
Anche comprare i necessari rifornimenti per la cucina è sovente un’impresa. Si parte con il trattore perchè è l’unico mezzo ad avere qualche speranza di non infangarsi in un cratere della strada. 
Alle volte poi dobbiamo uscire a salvare qualcuno dei nostri pazienti perchè l’autista del matatu dove viaggiavano per raggiungere Chaaria si è ritrovato fuori strada con l’albero motore completamente sepolto in una palude di fango.
La pioggia in qualche modo aumenta il senso di isolamento e di impotenza: siamo qui a disposizione, con tutto il personale pronto, ma la gente a volte non viene, o forse spesso non riesce a raggiungerci.
Per esempio la strada che collega Chaaria Market all’ospedale è ora trasformata in un torrente di acqua marrone molto difficile da attraversare; Gatunga, Kiamuri, Mukothima sono al momento tagliate fuori completamente.
Ma è pur vero che la stagione delle piogge porta altri aspetti positivi da non sottovalutare, come la possibilità di studiare un po' e di prepararci meglio a curare i nostri pazienti, un po’ più di tempo per pregare e per chiedere al Signore di essere sempre la nostra forza, una maggior tranquillità per assistere e visitare i nostri malati già ricoverati.
Come rifiutare per esempio una ecografia alla spalla di un vecchietto che mi chiede di posare la sonda direttamente sul punto dolente? O come non fare l’elettrocardiogramma al paziente iperteso che ha fatto magari 4 giorni di viaggio per raggiungere Chaaria da Marsabit?
La Missione è più silenziosa e riflessiva quando piove, quasi per prepararsi al grande afflusso di pazienti che aspettiamo da metà Dicembre in poi, fino almeno a giugno-luglio. 
E’ anche molto più ricca di insetti di ogni tipo: dalla mantide religiosa alle libellule, dagli scarafaggi agli scarabei, dai mosconi alle anofeline. In questi giorni la chioma della jacaranda era bellissima, e lo so che la jacaranda in fiore è sempre un messaggero della stagione delle piogge.



Fr Beppe Gaido





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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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