giovedì 5 dicembre 2013

Grazie, Salvo e Viviana

Innumerevoli sono le storie che potrei scegliere per salutarvi e per dirvi grazie.
Basti pensare alla persona arrivata oggi dopo una coltellata al collo: gli avete salvato la vita appena prima di salire in macchina per andare all’aeroporto.
Tra tutti i malati che hanno beneficiato della vostra professionalità e che vi devono la vita, voglio oggi scegliere Jackline, affinchè sia lei a convogliarvi il nostro grazie ed il grazie di tutti gli ammalati.
Jackline ha nove mesi e già la conoscevamo perchè un mese fa l’avevamo ricoverata  per un grosso prolasso del retto. Avevamo allora deciso per un intervento di minima, ed avevamo eseguito il cerchiaggio perianale secondo Thiersch.
Sembrava che andasse tutto bene e l’avevamo dimessa, pensandola guarita. Ieri mattina però è stata riportata in ospedale dai genitori; il prolasso era recidivato, ed era enorme: più di venti centimetri di intestino violaceo sporgeva dalle natiche della povera bambina che appariva disidratata ed in condizioni scadenti.
Viviana e Salvo hanno deciso di tentare di aiutarla. Per prima cosa abbiamo fatto passare alcune ore in cui abbiamo cercato di stabilizzare le condizione emodinamiche della piccola con fluidi endovena.



Siamo entrati in sala al pomeriggio alle ore 15, sotto un violento temporale che, scaraventando acqua contro il tetto in lamiera della sala, ci impediva quasi di sentirci mentre parlavamo.
Il quadro che Salvo e Viviana hanno trovato all’apertura dell’addome è stato estremamente complesso: quello che procideva dall’ano non era infatti il retto ma una enorme intussuscezione.
La prima ad invaginarsi era stata la valvola ileocecale che era risalita nel colon ascendente; poi si era formata una invaginazione colo-colica fino all’esterno.
La devaginazione è stata lunga ed estenuante, ma è risultata possibile al 99%. L’unica parte che non si è riusciti a devaginare era proprio in corrispondenza della valvola ileo-cecale.
Il quadro antomico della piccola, dopo la riduzione manuale dell’intussuscezione, risultava ancor più complesso a motivo del fatto che ci siamo resi conto della presenza di una malrotazione dell’intestino, con presenza del cieco in ipocondrio destro.
La decisione di Salvo è stata quella di eseguire una anastomosi  ileo-colica sul trasverso, in modo da resecare la parte che non si riusciva a devaginare. Le anastomosi a Chaaria sono sempre molto lunghe, perchè non abbiamo le suturatrici automatiche, ma con pazienza certosina Salvo e Viviana sono riusciti a fare un bellissimo lavoro.
L’anastomosi per altro ha in qualche modo accorciato il colon ed ha creato rapporti anatomici molto più vicini alla normalità: l’anastomosi è andata a porsi quasi spontaneamente in fossa iliaca destra e ciò ha accorciato il sigma-retto, rendendo la sospensione al sacro inutile e forse dannosa.
L’operazione si è conclusa alle 19.30.
Tutti eravamo strafelici nel vedere che il prolasso era ridotto e che la bambina aveva sopportato bene la lunga anestesia generale. In un momento di ilarità rilassata, dopo aver suturato la cute di quel piccolo addome, Salvo ha misurato il corpicino di Jackline con una spanna della sua manona: ebbene Jaccline aveva un tronco più corto della mano di Salvo:
“Ho le mani troppo grosse per la chirurgia pediatrica”, mi ha detto sorridendo.
“Già, però la bambina è viva”, ho rincalzato io.
E Salvo ha concluso la diatriba come al suo solito: “E’ tutto merito suo”, ed ha indicato con il dito il crocifisso che abbiamo sulla parete della sala operatoria.
Oggi Jackline è stabile. L’abbiamo trasfusa durante la notte, ed ora ha 13 grammi di emoglobina.
Lasciamo a lei il compito di ispirare a Salvo e Viviana tanti bei pensieri e ricordi, che li consolino, li ricompensino e li rendano certi che il loro passaggio da Chaaria è stato molto significativo per tutti.
Grazie, Salvo e Viviana, da parte di tutti noi che, insieme a Jackline, abbiamo visto il vostro lavoro, la vostra dedizione e la vostra bontà.

Fr Beppe




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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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