lunedì 13 gennaio 2014

La macchina fotografica in ospedale

B. ha una bellissima macchina fotografica digitale, di quelle con teleobiettivo. A prenderla in mano pesa un bel po’. 
Lui ha un interesse particolare a fotografare scene di vita in ospedale. Gli ho detto tante volte che bisogna essere prudenti, quando si riprendono delle persone, o quando si entra nella loro privacy. 
L’ho raccomandato di informarmi ogni volta che intende far foto sulle folle (per esempio in sala di attesa, o all’ingresso di un camerone). 
Pero’ B. sembra non tener molto conto di quanto gli dico, finche’ un giorno, nel corridoio dell’ambulatorio sento dei disordini. 
Mi affaccio pensando alla solita diatriba tra malati, su chi deve passare prima per le visite, ed invece vedo il nostro amico italiano circondato da uomini vociferanti che quasi lo vogliono picchiare. Ho il mio bel “da fare”, insieme ai wathcmen per calmare la sedizione: “Perche’ questo Muzungu ci fa delle foto senza neppure chiedere il permesso? Dove le porta poi? Cosa se ne fa? Adesso vogliamo essere pagati”.



“Non comportatevi cosi’, per piacere... Da dove pensate che prendiamo i soldi per sussidiare i prezzi quasi irrisori di questo ospedale? 
Ringraziate invece il Signore che ci siano dei Bianchi che scattanno delle foto, le fanno vedere agli amici, le proiettano nelle parrocchie, e poi ci mandano tanti soldini”... mi sono salvato in corner, ed il gruppetto di rivoltosi si calma; ma tra me penso che abbiano ragione. A tal proposito mi viene in mente di quando in Italia dovevo cambiare le lenti dei miei occhiali. 
Sono entrato in un negozio di ottica con la prescrizione dello specialista, e l’ho presentata al bancone. Con mia grande sorpresa, la gentile signora del negozio mi consegna un bel po’ di fogli da firmare, per la “privacy”, e mi dice che la devo autorizzare a leggere la ricetta del mio oculista. “Che scoperta che la puoi leggere... se ho bisogno delle lenti e te le chiedo, e’ automatico che devi consultare la prescrizione”.
“No, signore, la legge dice che lei deve firmare il consenso”.
Queste cose mi fanno pensare che a volte ci siano anni luce tra noi qui a Chaaria e l’Europa; o semplicemente che forse qualcuno si sente libero di fare qua delle cose che mai farebbe in patria.


Fr Beppe Gaido

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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