lunedì 27 gennaio 2014

La Messa con i malati ed i momenti di preghiera

La Messa domenicale è un appuntamento molto importante per noi di Chaaria, e ci teniamo davvero molto. La Messa è ben accolta da tutti i malati, ed anche i Protestanti vi partecipano volentieri. I Musulmani non ci vengono ma rispettano la nostra preghiera.
Le persone qui sono profondamente religiose e per loro è impensabile concepire una vita senza Dio: può essere il Dio dei Cristiani, quello dei Musulmani, quello degli Hindu, quello tradizionale che vive sul monte Kenya... comunque, per loro Dio esiste e fa parte della loro vita.
La gente del Kenya è intimamente spirituale, e, se può capire qualunque religione (compresa quella animista), fa fatica a comprendere l’ateismo, che è una categoria abbastanza aliena a questa latitudine.
Molte volte, alla sera durante il giro della notte, sento le donne intonare canti e fare preghiere per la guarigione, senza che noi glielo chiediamo, perchè per loro è naturale ed è vitale pregare.



Pasqualina e lo staff della sala operatoria da tempo mi ha chiesto il permesso di poter dire una preghiera all’inizio di ogni intervento chirurgico, ed a me personalmente pare molto bello. Inoltre posso dire che si tratta di una  nuova abitudine che trova grande favore  tra i pazienti: sovente si chiede all’operando di condurre lui stesso la preghiera e normalmente dice di sì con entusiasmo. Anche quando si tratta di un musulmano, chiediamo a lui di pregare per noi secondo la sua religione, e noi rimaniamo in silenzio.
Penso che, pur nel rispetto del credo personale di ogni volontario che viene a Chaaria, sia comunque bene che si tenga conto di tale dimensione religiosa della nostra gente, per evitare di creare disagio ai nostri malati ed al nostro staff.


Fr Beppe Gaido




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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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