Jeny si presenta a Chaaria con un bimbo morto
che le pende tra le gambe.Ha tentato a casa un parto podalico; il bambino però si
è inchiodato con la testa dentro, perchè il bacino osseo della madre è troppo
stretto, ed è morto asfissiato.
Il nostro ingrato compito è quindi quello di
estrarre il corpo senza vita: è una manovra difficilissima, e corriamo il
rischio di decapitare il neonato nel tentativo di darlo alla luce. Sono momenti
di tensione estrema, in cui mi tremano le gambe e prego Dio di aiutarmi.
La cosa che mi sconvolge di più è vedere
sull’addome della paziente una cicatrice da pregresso cesareo: questa donna
sapeva di essere a rischio perchè già in precedenza non era riuscita a
partorire; le era stato spiegato quanto rischioso sia tentare il parto a
domicilio senza personale specializzato ad assisterla, dopo un pregresso cesareo...
nonostante questo ha voluto partorire a casa da sola!
Non capirò mai certi comportamenti!
Alla fine il bambino esce, ed insieme a lui la
placenta. Tiriamo un sospiro di sollievo, pensando di aver risolto il problema,
e ci dedichiamo agli altri malati che affollano l’ospedale.
Il caos di Chaaria ci assorbe in altre
situazioni, e quasi ci dimentichiamo del caso, che per noi è risolto ed
archiviato.
Poi però l’ostetrica mi chiama con urgenza, perchè
la donna ha distensione addominale, pressione imprendibile, ed è sudata fredda.
Faccio l’ecografia e vedo che c’è un’ingente
quantità di sangue in addome: è quindi effettivamente avvenuto quello che tutti
temevamo. Nessuno infatti sa per quante ore la mamma ha travagliato a casa
prima di riuscire a partorire parte del corpo di suo figlio. Sicuramente essa
aveva già una rottura d’utero quando abbiamo estratto il feto morto.
Programmiamo una laparatomia d’urgenza, ma non
riusciamo assolutamente a trovare la vena.
Le condizioni della donna continuano a
peggiorare e noi ci sentiamo impotenti, mentre Jesse e Pasqualina cercano un
accesso periferico, e Max prova l’isolamento della safena. Alla fine il
miracolo lo fa Jesse ed incannula la giugulare.
Corriamo in sala con la paziente ormai fredda
e collassata. Non abbiamo sangue per lei, e ne prendiamo in prestito una sacca
dal paziente che deve fare la prostatectomia oggi.
Iniziamo l’intervento e la trasfusione nello
stesso momento.
Apriamo l’addome alla velocità della luce e
troviamo un’enorme quantità di sangue non appena incidiamo la tenue pellicola del
peritoneo parietale; lo aspiriamo e ci rendiamo conto del problema: uno squarcio
enorme sul legamento largo di sinistra. L’utero è completamente irrecuperabile
e dobbiamo procedere ad un’isterectomia d’urgenza: anche l’intestino è tutto
infarcito di sangue, ma fortunatamente non ci sono perforazioni.
Dopo l’intervento la mamma riprende coscienza
anche se le sue condizioni sono critiche.
Manteniamo acceso il lumino della speranza
fino al pomeriggio, quando le condizioni di Jeny precipitano improvvisamente.
Fortunatamente non siamo in sala in quel momento ed accorriamo per la
rianimazione. Facciamo tutto quello che possiamo, ma la mamma ci sfugge dalle
mani e se ne va in Paradiso a raggiungere il suo figlioletto. Siamo senza
parole. Soprattutto Olga, la giovane dottoressa polacca, è sconvolta dalla
storia angosciante di questa donna.
Com’è brutta l’ignoranza!
Il cesareo lo aveva fatto da noi due anni fa.
Le avevamo detto che non avrebbe potuto partorire a motivo di una
disproporzione cefalopelvica, ma lei non ha capito o non ha voluto darci retta.
Ha probabilmente travagliato molte ore a casa, causando la rottura d’utero ed
insieme la morte del figlio atteso per nove mesi. Tristemente penso che è
riuscita anche a commettere suicidio con quella sua decisione veramente poco
saggia, ma per me è impossibile conoscere le sue motivazioni e non la devo
giudicare.
Mi tornano in mente le parole di un mio veccio
amico morto di AIDS, quando mi diceva che “Dio perdona sempre, mentre la natura
non sempre lo fa”.
Fr Beppe
Nessun commento:
Posta un commento