sabato 8 febbraio 2014

Il serpente e la bambina

Fede lavora qui da noi da molto tempo. E’ impiegata come aiuto-infermiera ma fa un po’ di tutto. In questa settimana fa il turno di notte e si occupa anche della sterilizzazone.
L’ho salutata stamattina alle 7.30 quando ha staccato dal turno per andarsi a riposare. Abita appena dietro alla missione in una casetta di legno che si è costruita con fatica: Fede è una ragazza madre, abbandonata da un uomo che non l’ha mai amata, anche se le ha donato una splendida creatura che ora ha solo una manciata di mesi.
Pochi minuti dopo che Fede aveva lasciato l’ospedale, sono stato però chiamato con ansia dalla sua anziana mamma, la quale non è stata in grado di dirmi nulla, al di fuori di un “vieni, vieni” concitato.
L’ho seguita senza capire che cosa volesse; pur essendo un po’ anziana, ha davvero cercato di correre e di raggiungere la casa della figlia in pochissimi secondi.
Appena entrato in quella baracchetta di legno in cui normalmente tocco il soffitto e mi devo chinare per passare attraverso la porta, ho compreso la ragione di tanta agitazione.



In un angolo del monolocale Fede singhiozzava disperata ma in silenzio: appena mi ha visto, mi è corsa incontro, mi ha abbracciato e mi ha indicato con il dito tremante la direzione del suo letto: su di esso ho visto la sua piccolina che dormiva tranquillamente... ma attorno al suo corpicino sonnecchiava anche un grosso mamba nero attorcigliato in modo circolare attorno alla creatura ignara.
“Che fare? Di solito non ho problemi ad uccidere un serpente colpendolo sulla testa con un bastone, e, se non ci riesco al primo tentativo, lo finisco al secondo o al terzo...”, pensavo tra me stesso.
Questa opzione era però fuori discussione nel caso della figlia di Fede, perchè avrei potuto colpire lei insieme al serpente; inoltre, in caso non avessi ucciso la bestia al primo colpo, questa avrebbe quasi certamente morsicato la bimba.
Io ero completamente incapace di decidere.
Fede era paralizzata.
Sono stati attimi eterni di terrore.
Poi, inaspettatamente, è arrivata la zia di Fede che, senza dire una parola, si è avvicinata con circospezione ed in modo felino alla letto su cui dormiva la piccola, l’ha afferrata con un guizzo sicuro delle sue mani, se l’è stretta al seno,  e poi mi ha urlato: “colpisci il serpente adesso!”.
Il materasso ha attutito la violenza delle mie bastonate ed ho dovuto infierire sei o sette volte prima di vedere le testa del rettile spappolata.
La bambina era salva, ed ora Fede si poteva rilassare: ed ecco che nuovamente mi ha abbracciato, ma stavolta si è lasciata andare ad un pianto a dirotto che è durato alcuni minuti.
Siamo rimasti tutti senza parole, pensando a quel che avrebbe potuto succedere.
Quando Fede fa la notte, la piccola dorme con la zia, la quale si era alzata presto ed era andata fuori a fare il bucato, confidando che avrebbe sentito la bimba piangere in caso di qualunque problema. La piccola però dormiva ed il serpente è arrivato quatto quatto... ecco perchè è stata Fede a trovarsi davanti la scena inquietante al ritorno dal lavoro.
Ma, come dice il saggio: “tutto è bene quello che finisce bene”.


Fr Beppe Gaido 


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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