sabato 1 marzo 2014

Lettera dalla sala operatoria

Jambo, sono un’infermiera di Sala Operatoria; il mio nome è H…
Le mie colleghe ed io abbiamo un diploma di Tecnico di Sala ma, all’inizio, eravamo “signore in rosso” dal colore della divisa, che contraddistingue il personale di pulizia. Lavare pavimenti, pulire è un lavoro fondamentale nell’Ospedale, dove passa tanta gente, con polvere o fango ed altro e lo facevamo volentieri. 
Fr.Beppe forse ha scorto in noi delle qualità e ci ha portato a lavorare in Sala. Ma noi continuiamo ancora a lavare le nostre Sale Operatorie dopo ogni intervento, a pulire, riordinare; ci sentiamo un po’ le padrone di quegli ambienti e ci teniamo tantissimo. 
Adesso c’è la Sala nuova: è molto più ampia, luminosa attrezzata, ben condizionata, facile da tenere in ordine, ma a me piace ancora molto operare nella vecchia saletta, calda, angusta, scomoda dove è nata la Chirurgia di Chaaria. E’ in quello spazio che sono stati fatti i primi interventi, con ansia e paura: anch’io non sapevo veramente “passare i ferri” non conoscevo i tempi operatori, come montare correttamente gli aghi di sutura.



Effettivamente l’apporto dei Volontari è stato determinante nell’introdurre nuovi interventi e nel farci crescere e capire il nostro ruolo. Uno di questi mi diceva: non essere timida, quando mi dai il ferro fammelo sentire bene in mano: ora, quando torna a lavorare con noi glielo faccio schioccare con molta forza e ne ridiamo.
Certo lavorare con molti Volontari Chirurghi, Ostetrici, Ortopedici non è facile: ognuno ha le sue esigenze, le sue preferenze,chiama i ferri in modo diverso, ma se tornano più volte impariamo a conoscere i vari stili.
E così sono arrivate le prime isterectomie, amputazioni, la prostatectomia e poi l’Ortopedia di livello sempre crescente, la chirurgia intestinale. 
I nostri programmi operatori sono sempre ottimistici e spessissimo sono sconvolti dalle urgenze, soprattutto i tagli cesarei: se tenete conto che se ne fanno circa 450 ogni anno e che solo una parte è programmata capite bene la situazione. 
Per fortuna ormai sono molto veloci, Fr.Beppe è una specie di prestigiatore che, invece di conigli o colombe, estrae neonati dall’utero delle madri. I nuovi volontari si meravigliano molto di due cose: la velocità di Fr.Beppe, che in meno di un minuto dall’incisione della pelle estrae il bambino e dal colore del neonato: ho imparato che c’è una sostanza nella pelle che si attiva solo con la luce, per regalare il meraviglioso colore bruno.
I tagli cesarei avvengono anche di notte o quando siamo senza anestesista: questo è un altro gioco di prestigio, con Fr. Beppe che prima fa l’anestesista poi gira attorno al letto ed opera. 
Noi l’abbiamo visto ed aiutato così tante volte da essere molto brave come “seconde” e spesso restiamo anche sole a chiudere la ferita della parete addominale.
In Sala il problema della lingua è meno importante per i Volontari (lo diventa quando fanno ambulatorio con gli out-patient), abbiamo anche imparato qualche parola italiana.. 
Le cose che non ci piacciono sono i Chirurghi che sprecano i fili di sutura, magari usandoli con code lunghe, chi usa troppe garze, chi ci prende i ferri dal tavolo senza chiedere, chi non ce li restituisce dopo l’uso, chi ci fa tirare fuori tutto un set per un piccolo intervento, chi ci fa aspettare quando il malato è pronto sul letto operatorio. 
Sarebbe bello che al tavolo operatorio tutti parlassero in Inglese, ma quando i Chirurghi parlano Italiano noi passiamo al kimeru, così non capiscono loro.
Chiediamo poi di considerare le nostre pause pranzo la necessità di smontare alle 18 per andare a casa con un minimo di luce. 
A casa ci attende ancora molto lavoro, i figli da accudire, la cena da preparare il bucato….
Per fortuna ci sono Volontari che tornano tutti gli anni, qualcuno più volte l’anno, dalla Sicilia, dalla Lombardia, Piemonte, Sardegna e sono diventati importanti per noi e per Chaaria... e noi lo siamo diventati per loro.

Fr. Beppe e H. a nome di tutte le strumentiste


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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