domenica 6 aprile 2014

Meditazioni su Chaaria e sulla sua vita

Mando Joseph al Meru Hospital per ritirare del sangue che ci serve per un intervento chirurgico.
Il nostro autista usa naturalmente l’ambulanza, in quanto si tratta di un servizio urgente per l’ospedale. Percorre la via di Giaki, che è al momento la meno sconnessa per arrivare a Meru.
Giunto in cima alla salita di Ndurumo, a metà strada tra Chaaria ed il capoluogo, si imbatte nell’ambulanza della maternità governativa di Mbeu. La vettura in questione ha un guasto e, sia autista che infermieri sono “in fibrillazione”, perchè stanno trasportando una giovane ragazza che necessita di cesareo urgente.
Ci conoscono molto bene perchè è prassi normale per quella struttura priva di sala operatoria, accompagnare le sue pazienti complicate a Chaaria per il cesareo.
Disperati, essi fermano l’ambulanza del nostro ospedale ed implorano Joseph di aiutarli a raggiungere Meru.



Chi conosce il nostro Kabithi, sa che è una persona buonissima ma anche estremamente rigida.
Joseph, che per il sangue sta andando proprio all’ospedale di Meru dove quella ambulanza guasta era diretta, non riesce a prendere una decisione da solo: ha paura di sbagliare e mi chiama al telefono.
La Provvidenza vuole che io non sia in sala e che quindi Kabithi riesca a parlare con me. Mi spiega concitato la situazione e naturalmente io gli dico di trasportare tutti alla loro destinazione, prima che sia troppo tardi sia per il feto che per la mamma.
Alcune ore più tardi, quando Joseph ritorna a Chaaria con il sangue che ci serve per l’operazione, io gli chiedo con sorpresa:
“come mai l’ambulanza di Mbeu stava andando al Meru Hospital? Di solito vengono da noi che siamo molto più vicini al loro villaggio”.
“E’ quello che cho chiesto anche io – ribatte Joseph – e loro mi hanno detto che ordinariamente in effetti vengono sempre a Chaaria, ma questa donna era così povera da non avere neppure uno scellino”.
Questa frase mi fa molto male e dico subito: “ma lo sanno che noi non mandiamo via nessuno, soprattutto se molto poveri!”
Joseph non sa cosa dire: “Forse avevano paura di ripeterti ogni volta la stessa storia sul fatto che la paziente non avrebbe pagato”
Ho nel cuore un misto di sentimenti contrastanti.
Da una parte sono contento perchè la Provvidenza ha voluto che la nostra macchina fosse a Ndurumo nel momento giusto per aiutarli a raggiungere il Meru Level 5 Hospital quando erano in difficoltà. 
Dall’altra sono profondamente turbato al pensiero che ci siano ancora persone che non possono permettersi Chaaria, nonostante i nostri sforzi di essere veramente a buon prezzo, di far pagare pochissimo e di non rifiutare i nostri servizi a nessuno per motivi economici.
Lo so benissimo che il “totalmente gratuito” non ci sarà mai possibile, perchè no ce la faremo mai ed in più non sarebbe sostenibile nel tempo; inoltre, mi rendo conto chiaramente (soprattutto ora che Fr Giancarlo mi fa davvero partecipe dell’amministrazione in una maniera capillare e trasparente) che spesso siamo in profonde difficoltà economiche, con uscite che continuano ad aumentare a fronte di entrate che non sono mai sufficienti.
Però, rimane forte in me il “chiodo fisso” che non dobbiamo cedere alla tentazione di aumentare i prezzi: è una tentazione che abbiamo quotidianamente, di fronte all’aumento del costo dei farmaci, all’incremento dei salari, al carovita che sta falcidiando il Kenya anche sui prodotti alimentari di base, oltre che sull’elettricità, ecc.
Però, se aumentiamo i prezzi, non tagliamo fuori quel ceto medio che comunque Chaaria se la potrebbe ancora permettere: gli esclusi sarebbero proprio le fasce meno abbienti che già non possono accedere agli altri ospedali perchè troppo costosi.
Credo quindi che dobbiamo trovare nuove vie per aumentare le entrate: le offerte, gli amici, le associazioni, il risparmio e l’oculatezza amministrativa, ma anche attività esterne all’ospedale.
Oggi per esempio siamo stati molte ore senza corrente e con generatore spento, proprio per non spendere troppi soldi nel settore energetico.
Quando possiamo poi vendiamo i vitelli, i maialini, ma anche il latte e le uova della nostra “shamba”. Se la stagione delle piogge ci assiste, qualche volta riusciamo a vendere pure banane e mais.
In falegnameria abbiamo iniziato a preparare tavoli, sedie ed armadi per persone che ci fanno l’ordine e li comprano.
Se però aumentiamo i prezzi, soprattutto in aree molto sensibili come ad esempio quella della maternità, rischiamo di tradire la missione di Chaaria di essere l’ospedale dei poveri. E’ per questo che su tale punto, lo so di essere testardo, ma onestamente non voglio cambiare idea.
Inoltre penso che, aumentando i prezzi, diminuirebbero gli utenti, con il risultato che le entrate non incrementerebbero comunque. Se i prezzi rimangono bassi invece, aumenta il bacino d’utenza, non si rischia di tagliar fuori i poveri, ed alla fine si raccolgono entrate maggiori.
Sono certo di essere nel giusto dal punto di vista della spiritualità cottolenghina; non so se si tratta di un modello economico sostenibile, ma emotivamente penso che lo sia... spero di non bagliarmi.


Fr Beppe Gaido


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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