giovedì 8 maggio 2014

Precious Gituma


E’ uno dei nostri orfanelli, e, come sapete dal blog è stato recentemente battezzato durante la celebrazione in onore di San Giuseppe Cottolengo.

Con nostra sorpresa oggi una nutrita delegazione della sua famiglia è venuta a riprenderselo ed a portarlo a casa.
E’ sempre bello quando il reinserimento in famiglia di un orfano ci riesce, e non dobbiamo mandarlo all’orfanotrofio di Nkabune al compimento del primo anno di età: la famiglia è l’alveo più caldo e più significativo in cui crescere, e Nkabune, seppure una stupenda realtà, è pur sempre solo un istituto.
Precious è in ottime condizioni generali. E’ grande e forte e siamo contenti che per lui sia arrivato il momento di ritornare a casa sua: lo sapevamo fin dall’inizio che doveva succedere perchè lui è orfano solo di mamma.
Il nostro compito era quello di permettergli di crescere quando alla nascita ha perso sua madre.
Lo abbiamo accolto neonato e lo abbiamo aiutato e sostenuto nei primi mesi della sua vita. Ora non ha più bisogno di latte in polvere.




E’ stato svezzato ed anche se il papà non si è ancora risposato, con l’aiuto di tante zie, Precious potrà essere accudito e cresciuto senza difficoltà.
Lo salutiamo con affetto e gli auguriamo di crescere sano e forte.
Siamo stati un tassello nella sua vita; ora non ha più bisogno di noi e ci lascia.
Una lacrimuccia è spuntata agli occhi di Tabitha, che è stata la sua mamma in tutti questi mesi, ma io le ho ricordato quella poesia di Tagore che ci ricorda che i figli non sono nostri, e noi genitori (anche se adottivi e per un periodo limitato della loro vita) siamo come l’arco che non trattiene i figli a sè, ma li lancia lontano da noi, verso il futuro della loro vita.



Fr Beppe



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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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