venerdì 15 agosto 2014

Pietro l'Africano


Carissimo Pietro,
è stato proprio bello lavorare con te in queste due settimane di fuoco. Sei stato, come sempre, il solito uragano incontrollabile di servizio e di donazione!
Come di consueto sei riuscito a mettere a dura prova la mia resistenza fisica con i tuoi ritmi incredibili, ma abbiamo lavorato insieme in perfetta armonia, ilarità e totale accordo.
Quando ci sei tu è ormai la norma operare 7 giorni alla settimana e con orari vertiginosi. Insieme a Luciano, siete gli unici capaci di sfiancarmi con i vostri ritmi di lavoro insostenibili.
Lavorare con te è sempre bello e rilassante.
In sala operatoria mi dai sicurezza ed abbassi il livello di adrenalina: se opero un addome acuto da solo, ne esco stremato e fradicio come un pulcino; se lo faccio con te, ne vengo fuori non così stanco, e senza una goccia di sudore sulla fronte.
Grazie davvero di tutto!
Grazie per le tiroidectomie e per tutti i mega-interventi addominali che non avrei potuto fare senza di te.
Il mio grazie si unisce naturalmente a quello dei pazienti che forse non lo hanno saputo verbalizzare, ma lo sentono profondamente nel cuore. 


 
Caro Pietro, anche lo staff dell’ospedale è stato molto contento di te: con te lavora bene, si sente sicuro e non prova inutili timori reverenziali nel chiederti delle cose.
Tra di noi ormai è famiglia, e tutti noi ti abbiamo salutato con un arrivederci, già sperando che la tua prossima venuta non tardi tanto a venire.
Io con te ho sperimentato un sincero senso di amicizia e di benevolenza: mi piace dire (con un italiano volutamente meridionalizzato) che mi sono sentito “voluto bene”.
Abbiamo anche parlato tanto; ci siamo confrontati, sfogati e ricaricati a vicenda.
Abbiamo capito che la stella polare su cui focalizzare i nostri sforzi sono i malati: è per loro che io sono qui ed è per loro che voi continuate a venire e lavorate notte e giorno con orari impossibili.
I malati sono il segreto della nostra serenità al di là della stanchezza fisica.
Grazie, Pietro, perchè mi stimi come uomo, mi apprezzi come medico, ed hai fiducia in me come chirurgo. In questo momento della mia vita tutte queste cose mi fanno un gran bene.
Vorrei ancora dirti tante cose, ma mi chiamano per un addome acuto (forse è di nuovo un ascesso pelvico come quello che abbiamo fatto la penultima sera della tua presenza qui): suderei certamente di meno e sarei molto meno teso se tu fossi ancora qui.
Torna presto: te lo dico io, ma mi fanno eco Makena, Mama Sharon, Evanjeline, Celina, Marcella, Maureen, Jesse, Mbaabu, tutti gli infermieri dei reparti... e poi tanti e tanti pazienti che hai aiutato e curato.
Sicuramente sei presente nel nostro affetto e nelle nostre preghiere. 

Fr Beppe a nome di tutti

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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