martedì 24 febbraio 2015

Lettera di Cristina

Carissimo Beppe,
sto iniziando a riprendere la mia vita cagliaritana solo oggi. Ma io mi conosco, e so bene che Chaaria ha creato in me un grosso tumulto; da una vita desideravo dedicarmi agli altri senza "rendere conto a nessuno", senza preoccuparmi degli impegni familiari, della mia famiglia d'origine, del cellulare piuttosto che del tempo e degli impegni mondani... 
E Chaaria mi ha regalato questo grande sogno! Tornare in Italia, con tutti gli impegni che comporta, mi ha improvvisamente fatto ripiombare nella mia realtà del quotidiano e non è stato facile.
Ho decantato per diversi giorni, somatizzando qua e là i vari fastidi, e ad oggi mi sento pronta per raccontarti la mia Chaaria...
Sono partita da Cagliari con tante paure, perplessità, senso di inadeguatezza spirituale e professionale, ho affrontato il viaggio promettendo a me stessa di tenere duro nonostante tutto e tutti, ma mai avrei immaginato di conquistare in poco tempo un senso di pace e di sentirmi profondamente nel posto giusto al momento giusto.
Certo la prima sera è stata dura, dopo la chiacchierata con te in cui mi indicavi alcune difficoltà, mi sono racchiusa dentro la zanzariera e ho pianto tanto, con mille insicurezze che sono venute a galla, maturando però l'ideale per il quale ero venuta sin lì: dare una mano e non creare problemi.
Ho iniziato così a sentirmi parte del sistema, avevo gli sguardi dei pazienti, il coraggio infuso da Laura e Luciano, i sorrisi dei bambini e la complicità crescente dei miei super colleghi anestesisti.
Voglio spendere due parole su Jesse e Mbabu: come ironicamente li chiamavo in sala sono stati realmente i miei "boss". 



Non padroni ma cavalieri gentili, ho imparato da loro a maneggiare farmaci e gas in Italia ormai desueti, mi hanno permesso di cimentarmi in anestesie stoicamente dignitose, di ottima fattura, realizzate con pochi mezzi ma con estrema maestria. Insieme a loro ho incarnato il mio ideale di anestesista: un modesto sarto che con pochi ritagli riesce a confezionare un vestito su misura, con soddisfazione e benessere di chi lo riceve in dono. 
E'  facile fare l'anestesista in un grosso centro, hai tutti i presidi che vuoi, tutti i farmaci in commercio,la tecnologia più avanzata per monitorizzare il paziente, i consulenti e gli esami preoperatori per stimare un eventuale rischio anestesiologico... 
Pura utopia al momento a Chaaria! Ma non è un’utopia ottenere una elegante condotta anestesiologica a Chaaria! Questo dipende dalla professionalità e dall'umiltà di Jesse e Mbabu, squadra di cui sono stata onorata di far parte nelle 3 settimane di permanenza a Chaaria! La ricerca della sterilità e il decorso postoperatorio invidiabile fanno capire quanto i vostri sforzi siano efficaci per la salute del paziente!!
Il clima che si respira in sala è poi assolutamente proficuo, ho trovato disponibilità e sorrisi, anche quando il mio inglese lasciava fortemente a desiderare! 
Mi sono resa conto di quanto una comunicazione fluida sia importante, anche perchè l'equipe è mista e non sempre si riesce a barcamenarsi con due "sawa" e un "murimo"!!!
Ho cercato di seguire Laura nei suoi giri tra i degenti e nelle visite tra gli outpatients e anche quest'aspetto mi ha arricchito soprattutto nell'animo; vedere quegli sguardi spaventati e dignitosi allo stesso tempo, con l'abito della domenica indosso, che dovevano consultarsi coi familiari prima di accettare un ricovero, mi ha fatto riflettere su quante differenze culturali abbiamo, senza essere del tutto sicura nel preferire la nostra!!
Uno degli aspetti che mi ha fatto riflettere di più è stato il ruolo della donna, la donna africana è la vera emancipata!!!!
Lavora come una bestia, mette al mondo dei figli senza preoccuparsi del non poter provvedere a loro, si occupa del marito, c'è una reale collaborazione tra donne e quel momento in cui nasce un bambino è avvolto da un alone di naturalezza che non avevo mai percepito in italia; non è un momento straordinario, ma naturale! 
Devo ammettere che mi sono più volte sentita una stupida nel vedermi apparentemente più emozionata di loro, alla nascita del loro bimbo... poi pian piano nei giorni mi sono resa conto che non lasciavano trasparire nemmeno il dolore o la disperazione, come se fossero ostinatamente legate ad un senso di pudore e privacy dei loro sentimenti ed emozioni, che in Italia invece non siamo abituati a tenere per noi.. è tutto pubblico e sfacciato! 
E da quel momento ho sviluppato onore e rispetto per quella forma di espressiose-non espressione dei propri sentimenti! 
La vostra accoglienza. Mi vergogno di chi a volte ha osato lamentarsi del vostro vitto e alloggio. 
Io personalmente mi sono sentita trattata come una regina: il cibo era sempre vario ed abbondante; ho trovato carinissimo lo sforzo nel cucinare italiano, le coccole a base di mandazi e torte, e il caffè sempre pronto a scaldarti il cuore! 
Morale della favola: manco Chaaria è riuscita a farmi dimagrire!!! 
A Chaaria ho vissuto 3 settimane intense, tra gioie e dolori..
Grazie ancora per aver condiviso la preghiera per l'anniversario della morte del mio papà, è stato un momento magico. 
E grazie per aver festeggiato con me i miei primi 35 anni: mi avete commosso e non eravate assolutamente obbligati a farlo; custodirò anche questo bel ricordo di Chaaria!
Avrei altre mille aspetti da esplicitarti, ma se ti fa piacere te li scriverò piano piano...è una minaccia!!!
Questa lunga mail finisce qui, con un enorme GRAZIE a te e a Giancarlo, perchè avete reso speciale la mia esperienza a Chaaria, e ti chiedo di porgere un grazie particolare anche a Mbabu e Jesse, alle ragazze della sala, della degenza,della maternity, ai bimbetti delle pediatria, agli outpatients, al grande Kimani ed all’idimenticabile Mururu, alle suorine, ai buoni figli, a Grace e Cleto, a Simon e Joseph e a tutti i pazienti che hanno condiviso la loro intimità più preziosa, il loro dolore!
Spero di poter tornare a Chaaria l'anno prossimo!!!!
Un abbraccio,


Cristina


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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