lunedì 6 aprile 2015

Happy Easter

Guardo la strada rossa e piena di pozzanghere; vedo i bambini scalzi anche la domenica di Pasqua, e dico a me stesso: Gesù è risorto.
Dobbiamo gioire. Dobbiamo ringraziare il cielo che abbiamo cibo, abbiamo acqua per lavarci e per bere, abbiamo la salute, e soprattutto siamo ancora vivi, nonostante gli attacchi terroristici di questi giorni.
Anche questa notte ho dovuto correre a causa di pazienti gravi, alcuni dei quali ora la Pasqua la celebrano già in Paradiso.
A mezzanotte, subito dopo la Veglia in parrocchia, un cesareo urgente mi ha impedito di andare a riposare. Abbiamo donato a Elosy, la sua figlioletta primogenita... ha detto che la chiamera’ Pasqualina, per ringraziare Gesu’ di averle donato un figlio proprio nell’ora della sua resurrezione. 
Per questo cesareo abbiamo sentito la mancanza dei chirurghi italiani a darci una mano.
Invece Esther non ce l’ha fatta. Nessuno sa con esattezza cosa le sia successo. Era a casa e stava facendo le sue cose normalmente, quando, all’improvviso, ha detto ai suoi che stava morendo. E’ piombata a terra come un sacco ed e’ stata portata in ospedale ormai senza vita.


Probabilmente si e’ trattato di una embolia polmonare: aveva infatti una gamba gonfia dopo una caduta una settimana or sono. Le scene di disperazione dei familiari sono state tremende ed hanno caratterizzato ed intristito la maggior parte della nostra domenica di Pasqua. Esther lascia un marito affranto e tre figli piccoli.
Non sono mancati neanche i casi di violenza da machete: infatti purtroppo Pasqua vuol spesso dire anche ubriachezza e violenza inutile per motivi futili.
Ciao. Celebriamo insieme ed annunziamo con la vita che Gesù è risorto.
Grazie a tutti quelli che non si dimenticano di noi e ci hanno scritto
gli auguri.

Fr Beppe

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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