sabato 4 aprile 2015

Lettera di Giovanna e Giorgio

Caro, carissimo Beppe,
a distanza di qualche giorno dal rientro ed alla ripresa dell’abituale attività lavorativa, abbiamo messo giù qualche riflessione che  vorremmo condividere con te.
La nostra permanenza a Chaaria è stata, come lo scorso anno, una parentesi inserita nella nostra realtà infinitamente diversa dalla tua.
Per te è la normalità, per noi un evento. Ma nonostante sia stato un episodio non siamo in grado di gestirlo come tale, ma ci trascina continuamente nel ricordo della quotidianità vissuta con te, con Giancarlo, con tutta la comunità che è stata la nostra famiglia e, nel cuore, lo rimane  ancora e sempre.
Ogni anno la conoscenza reciproca si fa più profonda; i contatti verbali e “non” creano familiarità. 
I “buoni figli" sono stati per noi un arricchimento e abbiamo imparato molto dai loro silenzi, dai loro sguardi, dai loro comportamenti. 
L’affetto che ci è stato dimostrato e la bontà d’animo con la quale ci hanno riaccolto tra di loro ci hanno commosso e disarmati.
Sappi che, anche se lontanissimi nello spazio, siamo sempre con te con la preghiera ed il pensiero; non sentirti solo a lottare contro una realtà che si può solo cercare di scalfire o mitigare. 



Sarà un nostro preciso dovere continuare a lavorare da qui affinché si recuperino aiuti concreti per rendere meno pesante il tuo fantastico lavoro e per far conoscere una realtà così accattivante a quante più persone si dimostrassero sensibili a questo progetto.
Auguriamo a te, a Giancarlo, alle sisters e a tutti i componenti della famiglia di Chaaria una serena Santa Pasqua.

Con tanto, tanto affetto

Giovanna e Giorgio


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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