venerdì 3 aprile 2015

Il reparto orfanelli

Le richieste di fare qualcosa per gli orfani ci vennero dal Vescovo di Meru già dal 1998. Il vero problema era assistere i piccolissimi. La diocesi infatti aveva già un orfanotrofio a Nkabune, fondato negli anni cinquanta dal primo Vescovo di Meru Monsignor Bessone. 
Tale struttura però non era attrezzata per neonati ed infanti, che restavano quindi disattesi in case private o nell’ospedale pubblico.
Molti bambini quindi morivano per mancanza di attrezzature specializzate necessarie alle loro cure.
Anche in quel caso mi sono mosso con prontezza e con coraggio, ed ho detto di sì.
Ero disponibile ad accogliere orfani da zero a 12 mesi... li avrei accolti anche se pretermine, perchè già allora avevamo due incubatrici importate dall’Italia. 
Questa era la necessità espressaci, ed a questa intendevamo rispondere, proprio come ci insegnava il Cottolengo.
Il problema più grande, sin dagli inizi, è stato quello della sistemazione logistica: fino ad oggi non abbiamo ancora potuto avere un reparto separato per loro, ma li teniamo  in un angolo della pediatria. 
La ragione principale è stata naturalmente la mancanza di fondi.



La sistemazione in pediatria ha avuto comunque anche i suoi vantaggi: ha permesso infatti di utilizzare il personale di quel reparto anche per la cura degli orfani; inoltre, siccome in pediatria normalmente ricoveriamo le mamme con i loro bimbi malati, sempre abbiamo trovato una donna disponibile a prendersi cura di un orfanello che piange e che vuole il biberon o qualche coccola per addormentarsi. 
Anche su questo aspetto le donne africane mi affascinano e mi ispirano tanta ammirazione: non sono egoisticamente ripiegate sul loro figlio, neppure quando questo è ammalato, ma sanno sempre avere uno sguardo che va oltre, verso le sofferenze ed i bisogni degli altri.
Abbiamo deciso di darci come limite massimo di sei orfanelli, sia per motivi di spazio fisico e sia per altre ragioni legate all’assistenza. 
Eccezionalmente, in emergenza, ne abbiamo avuti anche otto contemporaneamente, ma ci rendiamo conto che un numero più alto poi porta ad un servizio meno attento e meno personalizzato.
Al momento i bimbi sono tre nelle culle ed uno incubatrice, mentre subito dopo Pasqua dovremmo accoglierne altri due, per i quali stiamo attendendo alcuni documenti necessari per l’affidamento.
Quando gli orfanelli sono pretermine abbiamo a diposizione due incubatrici espressamente per loro. Con la prossima ristrutturazione del reparto pediatria, intendiamo allestire un luogo separato ed espressamente dedicato agli orfanelli, il cui numero potrebbe anche aumentare grazie a benefattori che ci aiutano in tale settore.
Quando i bimbi non sono malati, io non sono direttamente coinvolto nel loro servizio: a me le infermiere si rivolgono in caso di attacchi di malaria o altre patologie ricorrenti.
E’ ormai un’abitudine comunque per me passare a salutarli ogni mattina alle 8, prima di iniziare la giornata di servizio, e poi ritornare a vederli dormire dopo le 22,30, quando lascio l’ospedale. 
Andarli a trovare e chiedere al personale come stanno mi aiuta molto e riempie quel piccolo vuoto che a volte sento nel cuore: un po’ con loro mi sento papà, ed onestamente la cosa mi riempie di tenerezza, anche se poi viene il momento in cui i bimbi vengono trasferiti all’orfanotrofio di Nkabune, ed allora il distacco è sempre accompagnato da un certo dolore e senso di solitudine.
Sì perchè questo è quanto possiamo fare per adesso: un bambino che cammina a quattro zampe sui pavimenti spesso contaminati dei reparti, che salta le sbarre dei lettini e cade, che va a rovistare nell’immondizia dei cestini dell’ospedale potrebbe essere un problema per noi ingestibile... il nostro personale non è sufficiente per stare loro dietro!
Siamo stati capaci di salvare la vita a vari orfani pretermine e denutriti che pesavano un chilogrammo alla nascita; abbiamo tirato fuori molti di loro dalla malaria cerebrale; abbiamo gestito con successo situazioni di abbandono (come quella volta in cui un neonato era stato buttato nella fogna ed era stato trovato pieno di vermi dopo più di ventiquattr’ore)... ma non abbiamo le capacità e la formazione per gestire quegli aspetti educativi e relazionali che un bimbo più grandicello necessita: ecco perchè il nostro è un orfanotrofio di passaggio, e tristemente i bambini ci lasciano prima di imparare a riconoscerci e ad affezionarsi personalmente a noi.
E’ normale che, se li rivediamo più avanti perchè sono malati, essi non si ricordino delle cure che da noi hanno ricevuto per più di un anno, e piangano disperatamente se tentiamo di prenderli in braccio.
Il nostro è un lavoro in perdita; lo facciamo per loro, ma poi sappiamo che essi si dimenticheranno di noi.
Non li trattiamo però come bimbi malati, anche se sono ospitati in un reparto dell’ospedale. Il personale li porta a passeggio sui passeggini, li mette al sole e li sa anche coccolare.
Dal 1998 ad oggi ne sono passati così tanti che non mi ricordo i nomi di ognuno.
Quasi tutti sono vivi e forti; qualcuno di loro è già grandicello e va a scuola.
alcuni sono morti (per fortuna una esigua minoranza): ricordo Ken che era gemello di Bonface ed al quale abbiamo diagnosticato una malattia cardiaca congenita; altri non ce l’hanno fatta a superare una malaria cerebrale, una diarrea grave od una polmonite.
Gli orfani sono un piccolo settore, se lo paragoniamo ai grandi numeri del nostro ospedale, ma sono un servizio importantissimo perchè siamo l’unica struttura nel Meru che li accoglie così piccoli.


Fr Beppe Gaido


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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