lunedì 13 aprile 2015

Sempre difficile decidere!

Il fine settimana è stato assai duro e con molte emergenze.
La cosa che più mi ha stressato non è comunque il superlavoro a cui sono abituato, ma le conseguenze che sono derivate dalle mie scelte.
D’altra parte nessuno può decidere al posto mio e purtroppo non ho primari a cui chiedere consiglio...su questo aspetto sono veramente solo!
Sabato pomeriggio abbiamo ricevuto due persone anziane, entrambe con occlusione intestinale: il primo era stato ricoverato in un’altra struttura dove avevano tentato di risolvere la sua situazione con terapia medica, ma non erano riusciti a concludere nulla; il suo addome era teso come un tamburo e lui aveva molto male. 
Dopo essermi sincerato della diagnosi, ho deciso per l’approccio chirurgico: purtroppo però c’è stato arresto cardiocircolatorio subito dopo l’induzione dell’anestesia generale. Io quindi non ho neppure preso il bisturi in mano, ed ho cercato invano di aiutare l’anestesista nelle manovre di rianimazione. Il paziente alla fine è morto nonostante tutti i nostri sforzi. E’ stato duro accettare quanto era successo, perchè certamente egli era occluso, ma parlava ed era relativamente stabile prima dell’intervento. Ora non c’era più. Sarebbe stato meglio non pensare all’intervento?



Sotto l’onda emotiva di quello che mi era appena successo, davanti all’improcrastinabile decisione da prendere per il secondo malato, ho pensato di stabilizzarlo prima con liquidi in vena e con antibiotici e di dilazionare la decisione sull’eventuale operazione a quando il paziente fosse stato in condizioni migliori: anche lui era anziano ed instabile, e temevo che l’anestesia potesse fargli lo stesso “scherzo”! Con mia sorpresa però, dopo circa cinque ore, gli infermieri mi hanno chiamato a constatarne il decesso. Avrei dovuto operarlo nonostante le condizioni precarie? Avrei avuto anche solo una possibilità di salvarlo?
L’altro caso brutto mi è capitato in maternità: da venerdì avevo in reparto una donna con tre pregressi cesarei, adesso gravida a 32 settimane. 
Ho fatto l’eco ed ho confermato che il bambino era piccolo, certamente al di sotto dei 2 chilogrammi. Temevo che la prematurità avrebbe causato anche insufficienza respiratoria da immaturità polmonare. D’accordo con la mamma avevo deciso di fermare le contrazioni con farmaci e di tentare di arrivare ad un’età gestazionale più favorevole per un cesareo elettivo. 
Sabato, notando che ancora c’erano le doglie, seppur ridotte, le ho proposto comunque il cesareo e le ho detto che avremmo tenuto il bimbo pretermine in incubatrice cercando di fare del nostro meglio per aiutarlo a sopravvivere. La donna però non ne ha voluto sapere ed ha detto che al momento le contrazioni erano diminuite e lei avrebbe preferito attendere la fine della gestazione. 
Domenica mattina mi han chiamato in maternità perchè la stessa paziente aveva un’importante emorragia antepartum. Ho fatto quindi il cesareo d’urgenza ma purtroppo era troppo tardi: c’era una terrificante rottura d’utero, la rottura della vescica... ed il feto era morto. Sono riuscito a riparare i danni agli organi coinvolti ed a salvare la vita della mamma che ora sta pian piano migliorando... ma il bimbo lo abbiamo perso. 
E se avessi deciso venerdì per il cesareo elettivo, considerendo i tre pregressi cesarei e senza preoccuparmi troppo del fatto che il piccolo fosse pretermine? Sarebbe vivo ora il bimbo se avessi deciso diversamente?
Ecco quanto mi è capitato nel fine settimana.
Certo che ho anche preso tante decisioni giuste, certo che ci sono stati anche interventi riusciti, bambini nati bene, malati guariti...ma queste decisioni “controverse” mi pesano molto sul cuore ed occupano gran parte dei miei pensieri e dei miei incubi notturni. Sempre tendo a dimenticare i successi ed a fissarmi su quanto va male. Credo che sia profondamente umano!
Essere sempre solo a decidere è comunque uno degli aspetti più difficili della mia vita a Chaaria.


Fr Beppe Gaido


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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