Quante volte i poveri ce li
abbiamo proprio in reparto e non è necessario andare in giro a cercarli tra le
capanne.
Li riconosci perchè non hanno
nemmeno quella cifra simbolica che chiediamo come contributo alle spese
ospedaliere.
Poi basta guardarli prima del
ricovero: sono stracciati e scalzi, sovente emaciati ed invecchiati prima del
tempo.
Dopo il ricovero, la nostra
divisa per i malati agisce come un livellamento sociale, in quanto tutti sono
vestiti allo stesso modo...ma un posto sicuro da osservare per capire se sono
davvero poveri come affermano, sono le mani ed i piedi: normalmente sono
infestati di pulci penetranti, la malattia della miseria, di coloro che non
hanno le scarpe, che camminano scalzi e che dormono sulla nuda terra.
Beatrice entra proprio in questa
categoria di “miserabili” che affollano i nostri reparti.
Può essere considerata una delle
più povere pazienti del nostro ospedale… povera in tutti i sensi.
Venticinque anni di età, ma ne
dimostrava sessanta già da parecchio tempo. Ha avuto la sfortuna di essere
colpita dal diabete giovanile, una malattia che non perdona, se i livelli
glicemici non sono tenuti attentamente sotto controllo.
L’ho conosciuta due anni fa:
emaciata, quasi cieca a causa della retinopatia diabetica, claudicante a causa
di un’ulcera cronica all’alluce con nessuna tendenza a guarire. I familiari
sapevano da anni del diabete, ma hanno sempre sostenuto di non avere soldi per
la terapia.
La nostra storia è poi sempre
stata la stessa: Beatrice arrivava in coma diabetico accompagnata da un padre
ubriaco (credo che la mamma fosse morta anni prima); noi la ricoveravamo
gratuitamente per molti mesi, sia perché il diabete non si sistemava, sia
perché i suoi tendevano ad abbandonarla. Quando finalmente riuscivamo ad
acchiappare il padre che furtivamente era venuto a farle visita, la dimettevamo
senza chiedere un soldo neppure per l’insulina che avrebbe dovuto praticare a
casa.
Sapevamo che sarebbe stato inutile con quell’ uomo che sembrava più che
altro un etilista che si era fumato il cervello con bevande locali.
Il problema di prescrivere
terapia insulinica a domicilio è sempre gravissimo: non hanno frigo, e, nel
caso migliore, conservano il farmaco in
una pentola piena d’acqua e semisepolta nel terreno. Siccome costa molto, usano
per molto tempo la stessa siringa, e chissà se la fanno bollire prima di
riutilizzarla. E poi l’insulina è davvero molto cara… Quando il botticino da
noi regalato finiva, nessuno ne comprava più per Beatrice; e quando la
rivedevamo, lei era di nuovo in coma, con tutte le complicazioni ad uno stadio
più avanzato.
Io me la prendevo sempre con il
papà, e gli dicevo che era un irresponsabile a non portarmi sua figlia per i controlli
quando la bottiglia dell’insulina era vuota; ma il massimo che ottenevo da
quella sfuriata era che lui si addormentasse davanti a me senza darmi ascolto.
Questa volta è stata ricoverata
da noi per quasi sette mesi: mettevamo a posto la glicemia, ma al momento in
cui si pensava alla dimissione, qualcosa di nuovo insorgeva: vomito, diarrea,
infezione al piede.
Quando finalmente siamo stati in grado di darle una qualità
di vita accettabile, i parenti si sono dati nuovamente alla macchia, e la
poveretta è rimasta in reparto per quasi due mesi dopo la dimissione ufficiale.
Io le chiedevo come mai non andava a casa, e lei si mostrava chiaramente a
disagio nel confessare che nessuno era mai più venuto a farle visita… dovete
sapere che Beatrice non era in grado di camminare a causa della debolezza, e
non avrebbe potuto lasciare il Cottolengo Mission Hospital da sola.
Credo che questo stato di
abbandono abbia in qualche modo creato in lei una tale disperazione da portarla
a decidere di lasciarsi morire: rifiutava quindi il cibo, non voleva le
terapie.
Alcuni giorni fa, mi ha chiesto
di comunicare al padre il posto dove avrebbe voluto essere sepolta nel cortile
di casa.
Ha poi sviluppato una specie di
paura della solitudine, ed un bisogno estremo di attenzioni. Voleva sempre
qualcuno vicino a lei: aveva imparato il nome di tutti, e chiamava ora per
farsi sistemare un piede, ora per farsi girare nel letto, ora per un sorso
d’acqua.
A guardarla faceva una tenerezza
incredibile: pelle ed ossa, piaghe ovunque; i muscoli totalmente andati… poi si
è spenta quasi senza accorgersene. E’ morta da sola, senza la presenza di un
familiare… ma, tutto considerato, credo che sia davvero andata a stare meglio.
Sono convinto che è stato
l’abbandono, più che il diabete ad uccidere Beatrice… l’ho capito quando mi ha
chiesto di indicare a suo padre dove seppellirla.
Io non le avevo detto che
stesse morendo; anzi, cercavo di essere molto positivo e di infonderle fiducia:
ma lei lo sentiva, e forse si stava gradualmente abbandonando alle braccia
della morte, quasi come a quelle di una liberatrice.
Oggi è venuto il padre, ubriaco
come sempre: non so neanche se ha capito che sua figlia è morta. Se ne è andato
farneticando e non sappiamo neppure se verrà a riprendersi il cadavere.
Fr Beppe
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