...Mi è molto
caro parlarvi un attimo di Albert. Lo avevo conosciuto bambino nell’anno 2000,
a Meru, una domenica in cui eravamo andati a fare una clinica mobile nella zona
povera di “Shauri Lako”: aveva tantissimo mal di denti, ma ci era sembrato
brutto fare estrazioni a catena (l’unica cosa che potessimo fare in quella
clinica mobile). Avevamo quindi deciso di portarlo a Chaaria e di fare delle
cure odontoiatriche nei giorni successivi: di otturazione in otturazione, gli
abbiamo ridonato un sorriso smagliante e perfetto. Inoltre a Chaaria aveva
mangiato bene e gli avevamo dato dei vestiti nuovi. Temevamo che ci chiedesse
di restare con noi in modo stabile, perchè non eravamo pronti in quel momento ad
avere un bambino in missione (ci avevamo già provato in passato con un altro
ragazzo problematico); avevamo quindi pensato ad un inserimento all’HURUMA
CENTER di Mujwa... ma il suo spirito libero lo ha potentemente richiamato verso
la strada: finite le cure, ci ha ringraziati e se n’è ritornato a Meru.
Da
allora è sempre rimasto affettivamente legato a noi: faceva la guardia all’auto
quando la parcheggiavamo in zone poco raccomandabili di Meru; aiutava l’autista
a caricare sulla vettura le vettovaglie acquistate nei giorni delle grandi
spese. E la cosa bella è che pare da noi abbia pian piano imparato il valore di
una vita onesta. Infatti, diventato più grandicello, ha trovato un lavoro
stabile presso una compagnia di autobus che fa servizio tra Meru e Mombasa. La
sua mansione è quella di caricare le merci che vengono stipate nel bagagliaio e
sulla bagagliera. Inoltre si occupa anche delle valigie dei passeggeri. Con il
passare degli anni l’ho visto sempre più maturo, vestito meglio, e ricco di una
sua dignità nata dalla coscienza di essersi fatto da solo. Lo vedo ancora
qualche volta anche ora: continua a lavorare presso la stessa ditta e l’ultima
volta che sono andato a Mombasa con il pulman, non la finiva più di
ringraziarmi e di abbracciarmi. Proprio in quella occasione mi ha confidato di
essersi sposato e di avere ora una stanza in affitto in cui vive con la
consorte: “non sono più un ragazzo di strada, ma un uomo di casa”, mi ha
ripetuto più volte con orgoglio.
Federica invece
era una bambina abbandonata che ho conosciuto quando già era accolta all’HURUMA
CENTER. Ai tempi andava alle scuole superiori, grazie a noi e ad altri donatori
che sostenevano quella missione. Però era depressa ed aveva chiari disturbi
psicologici che nascevano in gran parte da tristi vicende passate in cui era
stata vittima di un pedofilo. Ho seguito Federica a lungo, come suo medico
personale; lei è gradualmente migliorata ed ha sviluppato nei miei confronti un
affetto filiale che ancora oggi la porta a chiamarmi “papà”. Diventata
maggiorenne le abbiamo offerto un posto di lavoro qui all’ospedale e l’abbiamo
aiutata a trovare una casa in affitto. Federica è molto buona e tuttora è
nostra dipendente. E’ ora sposata ed ha due meravigliosi bambini.
Peter invece aveva si’ e no 5 anni quando per la prima volta fu presentato
a Fr Lorenzo e Fr Maurizio nel 1995. Era uno “street boy”: padre latitante come
sempre, madre psichiatrica e forse messa in cinta per gioco. Viveva in una
capanna di fango a Mujwa, ma era magrissimo, non andava a scuola e si aggiustava
con espedienti perche’ la mamma non era in grado di provvedere a lui.
Lorenzo e Maurizio non ebbero dubbi nel ritenerlo un caso “da Cottolengo” e
lo accolsero in una stanza annessa al centro “Buoni Figli”: l’intenzione era
quella di ospitarlo e di mandarlo a scuola, fino a quando avesse raggiunto
l’eta’ per guadagnarsi da vivere. Fu iscritto alla pre-primary di Chaaria, e,
dopo le lezioni, tornava da noi.
I problemi della sua prima infanzia non tardarono pero’ a farsi vedere:
violento con i compagni di scuola, svogliato a lezione, assenteista. Questo
comportamento fu motivo di frustrazione notevole per tutti i Fratelli, compreso
Fr Giovanni Bosco, che aveva supportato l’intervento di pronto soccorso sociale
nei confronti di questo vero “Pierino la peste”. Fu necessario sospendere di
tanto in tanto la sua frequenza scolastica perche’ gli insegnati non lo
volevano piu’.
Ma i problemi piu’ gravi dovevano ancora sorgere: Peter, con il passare
degli anni e con la complicita’ di alcuni dipendenti, imparo’ l’arte del furto:
veniva usato da alcuni membri dello staff che lo mandavano a rubare
dentifricio, scarpe, coperte e vestiti appartenenti ai nostri ospiti.
Normalmente questa refurtiva veniva accumulate in un punto specifico vicino
alla recinzione. A sera poi gli adulti coinvolti passavano a ritirare il tutto
attraverso una apertura nella rete. Il bambino poi riceveva regali direi
irrisori. Questo racket venne pero’ scoperto grazie ad alcuni dipendenti che
soffrivano per questa continua disonesta’ di alcuni loro colleghi. Alcuni
operai vennero licenziati e per Peter si penso’ ad un inserimento in una
famiglia locale a cui avremmo pagato una specie di salario affinche’ ce lo
tenessero, e lo formassero in modo adeguato: anche questa esperienza duro’ poco
perche’ Peter continuo’ a comportarsi da vero ragazzo di strada: disubbidiente
e “strafottente”. La goccia che fece traboccare il boccale fu quando, per puro
divertimento, la nostra peste accecò l’unica mucca della famiglia.
Eravamo da capo. Non sapevamo piu’ cosa fare. Intanto il tempo era passato
velocemente ed il bambino era diventato un adolescente ed aveva concluso in
qualche modo il ciclo scolastico delle “primary schools”. Il comportamento non
accennava a migliorare. Lorenzo si scoraggio’ ed allora provai io: le abbiamo
tentate un po’ tutte. Prima abbiamo affittato un acro di terreno, gli abbiamo
comprato le sementi e gli abbiamo procurato una camera dove dormire. Veniva
settimanalmente a prendersi il cibo qui in comunita’. Pero’ anche questo fu un
fallimento: il primo anno ci fu “El Nino”, e, a causa della alluvione, Peter
non raccolse nulla. L’anno seguente ci fu la siccita’ e di nuovo non ci fu
raccolto. Anche io davo segni di insofferenza nei confronti di quello che
sempre piu’ mi sembrava un parassita desideroso solo di non impegnarsi per il
futuro e di succhiare da noi quanti piu’ soldi possibile.
Fu in un momento di profonda crisi che mi venne in mente anche per lui
l’HURUMA CENTER. Chiesi aiuto al responsabile che si dimostro’ subito
interessato, anche perche’ avremmo continuato a coprire tutte le spese relative
al mantenimento del ragazzo. Ma anche li’ la “luna di miele” fu breve: Peter
inizio’ a picchiare i bambini piu’ piccoli e a ritornare ai soliti
comportamenti antisociali. Eravamo da capo. Il responsabile mi disse che il
ragazzo doveva lasciare il centro perche’ non sapeva stare in comunita’. Che
fare adesso?
Ultimo disperato tentativo fu una scuola professionale: mi consigliai con
alcuni membri della comunita’ locale che mi indicarono un istituto professionale
per falegnami che lo avrebbe accolto nonostante i risultati disastrosi ottenuti
nell’esame finale della “primary school”. Peter sarebbe stato uno allievo
interno, cioe’ avrebbe mangiato e dormito in quella struttura, mentre durante
le vacanze sarebbe stato ospitato da un’altra famiglia di Chaaria. Questa volta
le cose pero’ andarono molto meglio: dopo i primi mesi svogliati, il giovane
comincio’ ad amare la sua professione e con mia sorpresa ha terminato gli studi
senza grossi problemi.
Dopo la scuola ci fu il momento delicate del “taglio del cordone
ombelicale”: naturalmente Peter diceva che era difficile trovare lavoro, che
avrebbe sempre avuto bisogno del mio sostegno economico per pagarsi il cibo e
l’affitto della stanza. Io pero’ presi una decisione ferrea: dare a Peter tutti
i soldi che ancora avevo dai benefattori, e poi dirgli: “aggiustati!”
Fu dura all’inizio mandarlo via quando tornava piangendo e mi diceva che
non aveva piu’ denaro, ne’ vettovaglie… ma non volli farmi prendere dal facile
“buonismo”; la mia risposta era sempre la stessa: “hai un diploma, hai la
salute e sei giovane. Devi camminare con le tue gambe”.
Ora Peter lavora in una piccola impresa a gestione familiare che fa mobili
per la gente di Chaaria. E’ uno dei tanti progetti di micro-finanza che sono
nati sull’onda del benessere che l’ospedale ha portato alla zona. Si tratta di
una piccolissima impresa con 3 operai di cui Peter e’ il piu’ giovane. Ora mi
saluta felice, ha una bicicletta: e’ vestito bene ed e’ sempre pulito.
Fr Beppe Gaido
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