martedì 19 maggio 2015

La sindone di TorIno e quelle di Chaaria

A Torino c’è l’ostensione della sindone.
E’ strano, ma in tutta la mia vita la sindone sono riuscito a vederla una volta sola, pur abitando a soli 30 chilometri da Torino.
Nel 1978, quando ci fu la prima ostensione che io mi possa ricordare, ero ancora in una fase della mia vita in cui la religione non era proprio all’apice dei miei interessi... e quindi non ci ero andato, seppure mia sorella avesse insistito tanto.
Poi venne la mia “conversione”, ed iniziai ad interessarmi alla sindone, a studiarla, a leggere tutto quello che mi capitava sotto gli occhi.
Ma poi, alle ostensioni successive, ero sempre all’estero, e solo nel 2010 ho finalmente avuto l’occasione di contemplarla direttamente nel silenzio e nella penombra del duomo di Torino: un’emozione unica, devo dire!


Anche quest’anno non riuscirò a vedere la sindone esposta, ma essa rimane per me un’occasione di riflessione e meditazione.
C’è chi non ci crede affatto e pensa che essa sia un artefatto medioevale, poggiando il proprio agnosticismo sulla prova del carbonio 14.
Altri però ci credono e ne sono profondamente affascinati: inutile dire che io sono uno di questi.
Ma che cos’è la sindone in fin dei conti?
Per molti è un’occasione unica di poter intravvedere quel Gesù in cui essi credono profondamente; è un segno visibile della sua persona, di come Lui poteva apparire durante la sua vita terrena, dei suoi tormenti sulla croce. E’ quasi una fotografia di Gesù, uno scatto che ci permette di dire a noi stessi: io però l’ho visto davvero il Salvatore in cui credo, ho visto il segno che i chiodi hanno lasciato nella sua carne; ho visto il rivoletto di sangue a forma di 3 che scende dal suo capo coperto di spine, e la ferita della lancia nel suo costato.
La sindone poi (per chi ci crede) è anche la testimonianza di una forza straordinaria, di qualche evento soprannaturale che ha impresso le sembianze del Cristo sul tessuto del sudario: in pratica quindi la sindone è anche la testimonianza concreta di quel miracolo eccezionale, di quella energia soprannaturale che ha permesso a Gesù di risorgere dai morti (naturalmente per chi ci crede).
Più volte ho pensato che la sindone è quindi niente di più che un richiamo ad una presenza di Gesù, alla sua vita, morte e risurrezione.
Da questo punto di vista mi viene da pensare che anche a Chaaria abbiamo la sindone; abbiamo cioè dei luoghi forti in cui la presenza di Gesù e la sua persona si rendono visibili e direi toccabili: parlo naturalmente dei poveri e dei sofferenti.
Più volte nel Vangelo Gesù ha detto che “qualunque cosa avete fatto al più piccolo dei miei fratelli, lo avete fatto a me. Gesù è quindi presente in chi soffre, il quale in qualche modo diventa la sua immagine e la sua fotografia (proprio come nel caso della sindone, e forse ancora di più).
Nella spiritualità cottolenghina crediamo fermamente che alla Piccola Casa “o si è ostie (perchè in croce come Cristo a causa della malattia), oppure ostie si hanno tra le mani tutto il giorno (perchè serviamo Gesù presente nei poveri e nei sofferenti)”.
Oggi, sia in sala operatoria durante estenuanti interventi di molte ore, sia in reparto davanti a dei “poveri cristi” piagati e sofferenti, ho pensato alla sindone e mi sono sentito in comunione con le migliaia di pellegrini che si recano a Torino per contemplare il volto di Gesù stampato sul sudario; ho pensato che anche io sto vivendo qui il mio pellegrinaggio e tutti i giorni ho la possibilità di recarmi davanti a quella sindone molto eloquente che sono i poveri ed i malati: essi non sono solo la sua immagine, ma sono Gesù stesso (Mt capitolo 25).
La sindone porta l’immagine di Cristo, ed io ci credo profondamente... ma anche i poveri hanno in se stessi la medesima immagine, ed è nostro compito saper scoprire il nostro Signore nelle loro persone che chiedono il nostro aiuto ed il nostro soccorso.
In questo senso l’ostensione della sindone può essere tutti i giorni della nostra vita, sia a Chaaria che altrove.

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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