lunedì 4 maggio 2015

L'angoscia che sempre accompagna l'HIV

Stiamo operando una signora piuttosto attempata per un carcinoma della cervice. Con nostra sorpresa, prima di iniziare l’intervento, l’anestesista ci informa che è HIV positiva.
“Vuol dire che faremo più attenzione!” commento io senza scompormi.
I membri dello staff sono abituati a situazioni simili e quindi non fanno una piega. Lavoriamo con calma e finiamo l’isterectomia in brevissimo tempo.
Quando però ormai sto per iniziare la sutura della cute, avverto un po’ di movimenti strani attorno al letto operatorio. Io non mi accorgo di niente perchè sono concentrato sulla sutura, ma vedo che la seconda assistente Marion si è improvvisamente allontanata e si sta togliendo il grembiule, mentre Evanjeline le sta buttando sulle mani della candeggina.
Marion non parla e corre a lavarsi le mani. Chiedo quindi al mio secondo operatore: “E’ successo qualcosa?”
“Marion si è bucata mentre montava un ago sulla pinza: purtroppo si tratta di un un ago già usato e quindi contaminato”.
Tento per un attimo di calmare Marion, ma lei non ne vuole sapere. Le dico allora di andare subito all’ambulatorio per l’HIV e di parlare con Martin per la profilassi.


Anche io mi sono bucato più di una volta con un paziente sieropositivo e so bene come si deve sentire Marion.

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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