martedì 5 maggio 2015

Incesto e pedofilia

Non sono sono realtà estranee alla nostra pratica clinica.
Sin dai primi tempi sono venuto a conoscenza di storie piuttosto raccapriccianti da questo punto di vista.
Fino ad oggi però ero abituato a sentire di padri che si approfittano delle loro giovani figlie; ero abituato alla connivenza dolorosa delle mamme che temevano conseguenze maggiori per il delicato equilibrio familiare se avessero parlato e riportato la cosa alle autorità.
Conosco donne con bambini, le quali non hanno mai potuto sposarsi perchè il padre dei loro figli era il loro stesso genitore. 
Qualcuna di queste donne non sembra neppure la mamma, ma la sorella maggiore dei suoi figli...evidentemente perchè li ha concepiti in età giovanissima.
Sono storie che sempre mi turbano, mi lasciano tanto amaro in bocca e mi parlano di sfacciata prevaricazione maschilista.
Recentemente però siamo stati testimoni di un evento ancora più raccapricciante: una mamma che ha usato il proprio figlio di circa 8-9 anni di età per un atto sessuale, mentre lei era ubriaca.


Sono sconvolto dal fatto che una madre possa arrivare a tanto nei confronti della sua creatura, anche sotto gli effetti dell'alcool!
Dal poco che siamo riusciti a capire, parrebbe che il fatto di cui siamo stati testimoni non sia isolato, e che quella mamma facesse ripetutamente violenza a quel povero bimbo.
Chissà che traumi interiori per lui!
Naturalmente non siamo stati in silenzio, perchè questo sarebbe stato connivenza, ed abbiamo riportato l'accaduto alle autorità di polizia, visto che la pedofilia è un reato anche qui in Kenya.
Speriamo che qualcuno possa aiutare quel bambino con un adeguato sostegno psicologico, in modo che possa pian piano guarire dentro.

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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