lunedì 10 agosto 2015

Notti difficili

Sono le 22 ed ho appena finito il giro dei pazienti.
Sono stanchissimo dopo una giornata molto esigente e pienissima di pazienti e di lavoro. Ho voglia di andare a dormire.
Già ho salutato le infermiere e mi sto avviando verso la comunità, quando alle spalle sento la voce dell’ostetrica del turno di notte: “vieni un momento che ho un problema”.
Dentro di me sento un moto di ribellione, ma non posso rifiutarmi di tornare indietro. La donna che mi viene sottoposta è certamente un caso complicato che necessita di cesareo urgente, se non si vuole che il bimbo muoia nel grembo materno. 
L’urgenza mi pompa adrenalina nel sangue, e la forza mi ritorna: chiamo Giancarlo che sfortunatamente è sempre coinvolto nelle emergenze notturne quando non abbiamo volontari, e poi mi appresto a fare l’anestesia, perchè di notte a Chaaria non abbiamo l’anestesista.
La spinale riesce velocemente, ed il cesareo procede liscio come l’olio. Alle 23.30, sia io che Giancarlo siamo già a letto, sperando di dormire profondamente fino al mattino.



Ma la speranza viene delusa alle 0.30 della notte: nuova chiamata dalla maternità. Io ci metto un attimo a mentalizzare, essendo profondamente addormentato, ma rapidamente mi rimetto in moto: bisogna correre ad accendere il generatore, e poi buttarsi a capofitto in un nuovo cesareo: anche stavolta è un caso molto difficile, di una mamma con malaria in gravidanze e distress fetale. 
Anche stavolta l’anestesia mi riesce al primo colpo, ed il cesareo scorre veloce e senza problemi. Il bimbo fortunatamente piange forte quando lo estraiamo dal ventre materno, la mamma è tranquilla ed abbandonata alle nostre mani, e noi finiamo l’operazione in 45 minuti: “meno male; così andiamo subito a dormire; ovviamente domattina ci sentiamo dispensati dalla messa, in quanto sono già le 2”, ci ripetiamo io e Giancarlo.
Sono così stanco che il sonno arriva quasi subito e faccio sogni vividi e concitati. Nel sogno squilla ripetutamente un telefono che non riesco a vedere... poi, dopo un po’ di torpore confuso, mi rendo conto che si tratta del mio cicalino: “di nuovo! Stanotte è un massacro! Che ore sono? Accipiacchia, sono le 4,50.”
Mi dicono che si tratta di una placenta ritenuta: quindi mi posso aggiustare da solo, senza svegliare di ancora Giancarlo! Arrivo in sala parto e, dopo aver praticato una blanda sedazione alla mamma, eseguo la rimozione manuale della placenta... ma le sorprese non sono finite: sulla barella accanto vedo una partoriente che si contorce a causa delle doglie. La cosa che non mi piace è vedere che ha il catetere ed una flebo che le scorre in una vena del braccio: “non mi dire che anche questa mamma è da cesarizzare!”
L’ostetrica guarda a terra e si scusa dicendo che non è causa sua.
“Lo so che non è colpa tua, figuriamoci! Mica te li fabbrichi tu i cesarei! Il problema è che le complicazioni normalmente vengono tutte insieme!”
Chiamo nuovalmente Giancarlo e ci mettiamo al lavoro: anche stavolta il cesareo non ci riserva grossi problemi, a parte la nostra stanchezza. Sono quasi le 7 del mattino quando lasciamo la sala, ed il primo intervento programmato per oggi sarà alle 8.30.
Indubbiamente, dopo una notte così, sarà molto dura lavorare oggi che è lunedì, una giornata sempre caotica e congesta a Chaaria,


Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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