sabato 15 agosto 2015

Tragedia indescrivibile

Oggi ho ricevuto una giovane donna inviata a noi per ecografia pelvica.
Aveva perdite ematiche in gravidanza a circa 8 settimane di età gestazionale, ed un forte dolore addominale.
Nella storia clinica precedente ho letto che tre anni prima era stata operata di salpingectomia sinistra per una gravidanza ectopica.
Ho fatto l'eco ed ho visto quello che non avrei mai voluto vedere: di nuova una gravidanza extrauterina nell'unica tuba rimasta.
Con la memoria sono riandato subito ad un caso simile a cui avevo assistito anni fa: avevo operato una mia paziente prima di salpingectomia sinistra per ectopica rotta ed emoperitoneo; due anno
dopo la situazione si era ripetuta per la tuba destra: avevo tentato di salvarla, ma la situazione era tale che di quella salpinge non rimaneva quasi nulla: era letteralmente scoppiata a causa
dell'ectopica.





La salpingectomia era stata ineluttabile, e con essa la condanna all'infertilità, che in Africa è una situazione ancor più drammatica che in Europa.
Avevo poi incontrato nuovamente la mia paziente molto tempo dopo, solo per diagnosticarle un AIDS conclamato che in pochi mesi se l'è portata all'altro mondo.
Per la giovane donna di oggi io sono solo l'ecografista, perchè lei mi ha detto che vuole tornare dal suo medico: è stata durissima dirle la verità, ma era mio dovere farlo.
Al momento infatti l'ectopica non è ancora rotta, ma il disastro può capitare da un momento all'altro, mettendo a repentaglio la vita della paziente.
Ha pianto tanto e si è disperata.
Le ho dato del tempo per sfogare il suo dolore, ma poi le ho raccomandato di andare subito dal suo medico e di non aspettare fino a domani, perchè potrebbe essere troppo tardi.
Spero con tutto il cuore che questa ragazza sia più fortunata dell'altra mia paziente e che il suo curante riesca a salvarle la tuba, e con essa la speranza di poter ancora avere figli.

Fr. Beppe

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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