domenica 30 agosto 2015

Volontariato internazionale a Chaaria

Il volontariato a Chaaria ha ormai una lunga storia che comincia nei primi anni ’90 quando un gruppo di dentisti dava vita all’ambulatorio odontoiatrico del dispensario, mentre alcuni volontari iniziavano esperienze più o meno lunghe presso i Buoni Figli.
Degna di nota è la presenza di un volontario che è rimasto con noi per tre anni, a cavallo tra il 1988 ed il 1991.
Per molti anni la disponibilità dei volontari è stata piuttosto sporadica e limitata al solo periodo estivo.
La “rivoluzione copernicana” è avvenuta a partire dal luglio del 2000, quando è iniziata l’esperienza del volontariato su larga scala, con gruppi di persone che si sarebbero alternate durante tutto l’anno.
Nel 2004 si è costituita l’Associazione Volontari Mission Cottolengo, e dal 2006 collaboriamo con la Associazione Volontari Sardi Karibu Kenya.
La nuova impostazione organizzativa del volontariato ha coinciso con il riconoscimento dell’ospedale, e con il crescere continuo del numero di pazienti e dei servizi da noi offerti.
Il servizio volontario a Chaaria si è sempre più caratterizzato come “sanitario”, anche se non sono mancate le esperienze positive di alcune persone rivolte ad altri settori della missione: attività educativa dai Buoni Figli, manutenzione varia, costruzione di nuove strutture edilizie, impianti elettrici, ecc...


Nello specifico sanitario il volontariato si è diversificato molto, limitandosi inizialmente all’odontoiatria ed espandendosi successivamente ad altre specialità sia mediche che chirurgiche.
Vorrei cominciare ad analizzare gli elementi positivi del volontariato a Chaaria, partendo dalla considerazione che dai volontari si è imparato molto, dall’ecografia,alla gastroscopia, dai tagli cesarei alla chirurgia, rivelandosi così una presenza significativa e molto utile per la crescita del nostro servizio.
Le cose insegnateci sono senza dubbio una dimensione centrale, in quanto l’ospedale di Chaaria si è diversificato grazie a ciò che abbiamo appreso dai volontari.
Per alcuni questa dimensione formativa è stata piuttosto chiara, edificante e motivo di gioia nel constatare che dopo il loro passaggio qualcosa di nuovo stava cominciando.
Il volontario è inoltre un portatore di freschezza ed entusiasmo nella continuazione del nostro lavoro. 
Troppo spesso la routine ci può rendere cinici, incapaci di condividere fino in fondo il dolore altrui. Diventiamo freddi, come paralizzati nei sentimenti dal contatto troppo continuo con la sofferenza e con la morte.
Corriamo il rischio di voler dare a tutti lo stesso livello di attenzione, perchè abbiamo paura di coinvolgerci troppo con alcune persone che poi dovremo lasciare, o perchè muoiono o perchè guariscono e se ne vanno.
I volontari invece sanno dare importanza alle piccole cose: ad un sorriso, ad una delicatezza verso i pazienti...Essi diventano un silenzioso richiamo a non lasciarci travolgere dal rullo compressore del quotidiano che rischia di trasformarci in “macchine operatrici”
senza sentimenti e senza vero coinvolgimento. 
Sanno piangere davanti ad un bimbo che muore di malaria o di fronte ad una piccolina che viene consumata dall’AIDS...e con queste lacrime, quasi impercettibilmente, mettono un freno al nostro continuo correre che ci porterebbe a dire: “Ma quante storie! Non c’è tempo per piangere per i morti, bisogna lavorare per chi è ancora vivo!”.
I volontari sono anche la nostra “cassa di risonanza” e molto spesso lavorano per noi in Italia più di quanto non potessero fare quando erano qui in Kenya.
Alcuni cooperano nell’apportare forze nuove per il sevizio a Chaaria; è infatti il fenomeno del “passa-parola” che ci consente di accogliere nuovi collaboratori.
Altri poi organizzano raccolte fondi, concerti, attività parrocchiali...che contribuiscono grandemente al nostro budget.
Credo sia giusto comunicare che circa il 35-40% delle nostre entrate, provengono dalle varie iniziative degli amici, dell’AssociazioneVolontari Mission Cottolengo e della Associazione Volontari Sardi Karibu Kenya.
Detto questo, desidererei ora sottolineare alcune caratteristiche a mio avviso necessarie per tutte le persone che vorrebbero fare o hanno fatto volontariato da noi.

1. SENSO DI ADATTAMENTO: sappiamo tutti che un ospedale rurale in Africa non può essere ben organizzato come un moderno ospedale italiano.
La struttura qui potrebbe essere paragonata ad un enorme reparto contenente 160 posti letto, divisi tra specialità molto diverse tra loro.
A tutto questo si aggiunge il flusso continuo e in progressivo aumento negli ultimi tempi, di pazienti ambulatoriali.
Inoltre come ho già detto, lo staff locale è molto ridotto rispetto agli standard italiani, per cui a volte non riusciamo a seguire il singolo paziente come invece si potrebbe fare in Italia.

2. UMILTA’ sia nel servizio che nel giudizio globale della realtà africana.
Nel servizio, pur essendo molto bello che i volontari ci portino ad un continuo miglioramento, è necessario fare appello alla pazienza personale per accettare che i cambiamenti suggeriti avvengano per piccoli passi. A volte è necessaria una rivoluzione mentale per il nostro personale che è stato formato con altri criteri, soprattutto se consideriamo che un Africano non riesce per natura a cambiare le proprie abitudini da un giorno all’altro.

3. COMPRENSIONE: noi Fratelli siamo sempre in vetrina in quanto viviamo 24 ore al giorno con i volontari. A volte è difficile per noi adattarci a personalità completamente diverse che si alternano nella nostra comunità a velocità alquanto elevata. Passiamo da persone pacate ad altre molto esuberanti; da gente che ha bisogno di solitudine ad altri che preferirebbero stare sempre in gruppo e via dicendo...
Non sempre è facile passare da un chirurgo che richiede tutto il nostro sforzo per migliorare la sterilità, ed un pediatra che invece ritiene che l’ospedale si debba concentrare soprattutto sulle pappette e sulle soluzioni reidratanti.
In ultimo dico che non possiamo essere sempre al meglio: a volte anche noi attraversiamo momenti difficili ed è imbarazzante quando il volontario ti vede in tale stato, perchè si porterà in Italia un’impressione negativa di te, l’idea di una persona triste.

Desidero concludere con una parola sul volontariato dai Buoni Figli che è senz’altro utile ma molto più complesso.
Parecchi volontari non si sono trovati bene in tale settore per diversi motivi. Credo che il più importante sia che tra lo staff dei Buoni Figli nessuno parla Italiano e questo può diventare difficile per chi non conosce l’Inglese. Altro aspetto complesso è che in tale tipo di servizio ci sono parecchie ore libere in cui il volontario può impegnarsi con varie attività di animazione (una partita a dama, suonare la chitarra, una partita a calcio...); se però non riuscisse ad organizzarsi in questo senso, potrebbe provare un senso di inutilità che è dannoso. Collaborare alla scuola speciale o alle attività occupazionali costituisce anch’esso un problema per molti: sono compiti ripetitivi e che richiedono molta pazienza.
Credo di poter affermare che il volontariato dai Buoni Figli sia più complesso di quello in ospedale, in quanto richiede una discreta conoscenza dell’Inglese per la comunicazione con il personale, una scorta abbondante di pazienza per interagire con i ragazzi, e uno sviluppato senso del servizio condito da una buona dose di fantasia.
Termino questo lungo scritto sottolineando che il volontariato è una realtà molto bella e utile per Chaaria. Abbiamo bisogno dei volontari!

Mi auguro che il Signore ci aiuti a crescere per correggere quanto abbiamo sbagliato in questi anni e per sviluppare al massimo le potenzialità del volontariato.

Fr.Beppe




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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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