domenica 11 ottobre 2015

La semina

Aspettando il dono delle piogge, abbiamo completato il lavoro della semina.
Abbiamo chiamato molte donne dai villaggi attorno a Chaaria, in modo da poter terminare in fretta la preparazione dei campi. 
La shamba in questi giorni brulicava di giovani contadine, armate di panga e curve sulla terra; era anche animata dai canti, con cui esse esorcizzavano la fatica e la calura.
Quando le vedo lavorare così, cantando tutte insieme, con una stretta al cuore mi ritorna in mente la lettura di quell'opera tremenda che è "Radici. Loro però sono pagate bene, ed ogni sera ritornano libere alle loro famiglie.
La semina, come sempre, avviene a mano: non abbiamo macchine per questo lavoro!
Le donne sono pagate a giornata, ed il numero delle braccianti che impieghiamo dipende dal carico di lavoro che rimane da fare: certi giorni possono essere anche una ventina; altre volte bastano quattro o cinque persone.
Ora comunque abbiamo completato la semina e da domani nella shamba ci saranno solo i nostri dipendenti, per i lavori agricoli e zootecnici ordinari.
Le braccianti a giornata le chiameremo di nuovo tra due o tre settimane per il lavoro di bonifica dalle erbacce; e poi avremo bisogno di un gran numero di loro per la raccolta delle messi.


Chaaria è una struttura agricola e dalla shamba ricaviamo gran parte del cibo che consumiamo sia per noi che per malati e Buoni Figli.
Il rapporto con la terra nella nostra società è sacro, ed il fatto che noi missionari coltiviamo quello che mangiamo è un atto quasi religioso e di ossequio alla cultura locale, che non capirebbe se noi non lavorassimo la terra e non sudassimo su di essa come tutti loro, per avere il pane quotidiano.
Lavoro dei campi, lavoro in ospedale e nel centro dei Buoni figli sono realtà inscindibili, che fanno di Chaaria una missione vicina alla gente.

Fr Beppe



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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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