sabato 24 ottobre 2015

Situazioni Simili e barriera linguistica

Loropoi è una donna sulla sessantina.
Arriva dal profondo Nord del Kenya: è di etnia Rendille e non conosce altro che il suo dialetto.
E' vestita con la solita tunica delle popolazioni nomadi del deserto, ed ha al collo collane variopinte.
Addosso ha il classico odore delle tribù nordiche, un misto di puzza di letame e latte di capra cagliato: eh già, perchè al Nord di acqua ce n'è proprio poca, e lavarsi è un lusso.
Ha una massa addominale che cerchiamo di studiare ecograficamente, con l'aiuto di un vicino di casa che ci fa da traduttore.
Senza di lui non saremmo stati capaci neppure di dirle di sdraiarsi sulla barella.
La massa è molto grande ed ecograficamente ci sembra che sia di pertinenza del rene sinistro: una cosa così grande deve essere certamente tumorale. Pare però che non ci siano metastasi addominali.
Cosa fare ora?
L'opzione più semplice potrebbe essere l'agobiopsia ecoguidata.
Attendere il risultato però comporterebbe un ritardo di quasi un mese, e poi alla fine comunque si dovrebbe probabilmente intervenire comunque, magari su una situazione patologica più avanzata.


Pietro mi dice chiaramente: "se non la operiamo noi, chi vuoi che la operi? Ha fatto così tanta strada! Togliamo quel rene tumorale e poi mandiamo tutto per l'istologico. Quando è tolto, è tolto...poi si
vedrà per ulteriori terapie!"
Spiegarlo alla paziente è stato difficile. Abbiamo sempre dovuto avvalerci del vicino di casa che l'aveva accompagnata.
Come però sempre capita con la gente semplice del Nord, Loropoi ha subito accolto la nostra proposta e ieri abbiamo eseguito l'intervento: è stato più difficile del previsto perchè la massa era davvero grande ed arrivava vicinissimo all'aorta. Di particolare difficoltà è risultato reperire e legare uretere e vasi, ma l'esperienza chirurgica di Pietro ha fatto sì che l'intervento sia stato un grande successo.
Loropoi ha sanguinato un po', ma fortunatamente abbiamo potuto trasfonderla subito dopo l'intervento, perchè c'era sangue in emoteca.
Oggi è in prima giornata post-operatoria. E' ancora sofferente ed il sondino nasogastrico le dà fastidio, ma ci regala un sorriso sdentato tutte le volte che ci vede. Vorremmo sapere se il suo intestino si muove e se ha fatto aria, ma non ci capiamo neppure con i gesti. Il vicino di casa oggi non c'è. Speriamo che venga domani! Senza di lui la comunicazione è zero!
Situazione analoga è quella di Regina: lei viene da Tzeikuru, una regione molto lontana da noi, ma stavolta verso sud. Anche Tzeikuru è molto povera e la gente che da quell'area affluisce al nostro ospedale è in genere semplice e di condizione sociale modesta.
Regina ha 47 anni sulla carta, ma ne dimostra almeno dieci di più. Non parla Inglese, Kiswahili o Kimeru. Conosce solo il dialetto Kikamba.
E' accompagnata da un'altra donna, anch'essa illetterata ed incapace di comunicare con noi.
Fortunatamente uno dei nostri infermieri è originario di quella regione, e può fare lui da interprete.
Regina sembra incinta di nove mesi, dato clinico che contrasta con l'aspetto vecchieggiante della paziente.
Le facciamo un'ecografia addominale e vediamo un'enorme massa solida che dal bacino risale fino al diaframma. Non notiamo ascite e non ci pare di osservare metastasi.
L'aspetto ecografico ci è parso compatibile con gigantesco fibroma uterino.
Il nostro infermiere e mediatore culturale ha quindi spegato la situazione alla donna, la quale ha subito accettato l'intervento: "ho viaggiato dodici ore su strade sterrate, ed ora certamente devo fare quello che il medico mi chiede", ha risposto candidamente.
L'abbiamo operata oggi verso le 17 (ultima di una lista molto impegnativa): con nostra sorpresa ci siamo accorti che la massa non era uterina. L'utero (microscopico a causa dell'età certamente più avanzata dei 47 anni dichiarati) era schiacciato nella piccola pelvi, e quello che avevamo visto ecograficamente era un'enorme massa dell'ovaio sinistro.
La rimozione non è stata molto difficile perchè non c'erano aderenze, anche se quell'escrescenza enorme e pesante era nutrita da venoni congesti e paurosi che ci hanno dato un po' di filo da torcere.
Dopo la rimozione di quel mostro, la pancia è ritornata piatta ed addirittura un po' incavata: "certamente ora si sentirà molto meglio senza quel fardello enorme da portare", ha commentato Pietro, che poi ha voluto aprire la massa con il bisturi. Era davvero solida: non conteneva alcun'area cistica. "Chissà cosa sarà! E' capsulata e non sembra maligna. La mandiamo comunque per l'istologico."
Quando Regina ha visto quello che le abbiamo tolto, le è quasi venuto un colpo. Poi ha continuato a ripetere "asante" (grazie), forse l'unica parola di Kiswahili che sapeva.

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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