lunedì 2 novembre 2015

Un altro John Mutuma

Da un certo periodo avevamo un letto disponibile al centro, dopo la morte dell'ultimo "Buon Figlio".
Avevamo atteso un po' prima di ricoverare nuovamente perchè il centro ci sembrava già troppo congesto e sovraffollato: attrezzato per 40 posti letto, ne aveva a quel momento 52.
Il letto di Henry (morto alcuni mesi fa) però non lo avevamo mai tolto, perchè questa idea di ridurre il numero degli assistiti, anche con lo scopo di servirli meglio, in qualche modo strideva all'interno della nostra coscienza, soprattutto considerando il fatto che i bisogni sono immensi e le richieste tantissime.
E' stata dura decidere chi prendere, perchè, quasi che il tam tam avesse fatto circolare per le colline la notizia della dipartita di Henry, in molti si erano presentati a sollecitare la loro domanda di ammissione. Tutti ci sembravano casi disperati!
Il problema è che comunque di letto disponibile ne avevamo uno solo, e per di più in una struttura che funzionava ben al di sopra degli standard pensati all'inizio.
Però, quel letto vuoto non potevamo lasciarlo. ...ci faceva star male!
Il santo Cottolengo, nostro padre Fondatore, in questo era chiarissimo: "i letti bis li capisco; quello che non accetto è un letto vuoto".
Oggi ci sentiamo finalmente un po' meno in colpa, perchè, superando sensi di colpa e ripensamenti per quelli a cui abbiamo dovuto dire di aspettare ancora, abbiamo accolto nella nostra famiglia di Chaaria un altro John Mutuma, oltre al John che  molti volontari conoscono e ricordano in quanto capace di parlare in italiano.
Si tratta di una omonimia del tutto casuale.



Il nuovo "Buon Figlio" proviene da un villaggio che si chiama Limauru, dalle parti di Kianjai, sulla strada verso Tuuru.
Ha circa 30 anni ed è disabile dalla nascita.
La sua situazione familiare era molto povera: del padre non ci sono notizie; lui viveva accudito dalla mamma, che si prendeva cura di lui in tutto: infatti John è incapace di vestirsi o di mangiare da solo; non è indipendente per i normali bisogni fisiologici; è molto spastico e non sa parlare, anche se pare comprendere i messaggi semplici che gli vengono rivolti (come ad esempio: mangia! Devi andare in bagno? ecc).
Da oggi è con noi e lo accogliamo nella nostra famiglia: starà con noi fino alla fine della vita, come accade per tutti i nostri "Buoni Figli".
Con questo ricovero speriamo di dare anche un sollievo alla mamma, che, sapendolo al sicuro, potrà dedicarsi ad altri lavori e migliorare la situazione economica terribile in cui la disabilità del figlio l'aveva condannata.
E così di letti liberi non ne abbiamo più.
Purtroppo a moltissimi continueremo a dire che siamo pieni e che, per la loro domanda di ammissione al centro, dovranno attendere che qualcun altro dei nostri "figli" vada in paradiso.
Certo che, se anche avessimo i mezzi per raddoppiare il nostro centro, i letti si riempirebbero comunque subito, ed ancora dovremmo ripatere: spiacenti, siamo al completo. I bisogni sono infatti quasi infiniti e le strutture per disabili pochissime.
Ma noi, come sempre, facciamo solo quello che possiamo.


Fr Beppe


1 commento:

Fr. Beppe ha detto...

Altre notizie riguardo a John ci stanno arrivando: pare che nessuno della comunità locale sapesse dell'esistenza di questo ragazzo e che la mamma sia riuscita a tenerlo nascosto e segregato in una baracca per 30 anni. I vicini, la chiesa locale ed anche le autorità non erano al corrente della sua esistenza. La sua presenza è stata recentemente scoperta dalla polizia che ha fatto una ispezione di quella baracca in corso di una perquisizione per cercare alcoolici illegali. La madre lo aveva tenuto lì per tutti questi anni, forse per quei motivi si stigmatizzazione del disabile che erano comuni anche da noi alcuni decenni fa. Fr Beppe


Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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