La sonda scorre veloce
sull’addome globoso di Nancy. La sua pancia a montagnola mi dice chiaramente
che questa paziente ha raggiunto il termine della sua ‘attesa’.
Pero’ non ha dolori, e da
un paio di giorni sostiene di non sentire piu’ le capriole ed i dolci ‘scalciamenti’
del nacituro.
Il mio duro compito e’
quello di dirle se il suo bimbo sta bene!
Passo e ripasso il mio
strumento sulla zona dove mi attendo di trovare il cuoricino pulsante, ma non
vedo alcuna attivita’. Prolungo la mia osservazione, nella speranza di notare
un cambiamento di posizione, una manina che si sposti, un piedino che si muova
impercettibilmente... ma nulla!
Mi auguro che sia solo
un’ illusione ottica, e faccio scivolare la sonda in modo maniacale su quella
pancia, quasi a volermi convincere che cio’ di cui sono ormai sicuro non sia
altro che una menzogna.
Passano minuti eterni in
cui continuo ad armeggiare l’ecografo senza piu’ neanche concentrarmi sul monitor.
E’ una specie di balletto
in cui mi destreggio, cercando di prendere tempo e di studiarmi le parole da
usare con questa giovanissima mamma che ha in corpo un feto morto... un feto
che fino a ieri le saltava in grembo ed evidentemente stava bene.
E’ sempre durissima
affrontare un tale argomento, soprattutto quando il disastro capita a termine
di gravidanza: nove mesi di attesa, di speranze, di sogni e progetti che
immediatamente verranno vanificati dalle mie parole che di colpo apriranno un
altro scenario: l’attesa e’ stata inutile; non sarai mamma; non avrai le notti
disturbate dal vagito di tuo figlio affamato o ‘bagnato’; le tue notti saranno insonni
solo a causa dei tuoi incubi e dell’angoscia che ti accompagnera’ a lungo per
la perdita di quel bambino su cui avevi tanto investito emotivamente.
Divago un attimo pensando
a me stesso: a quanto sia doloroso per me quando, dopo aver lavorato per
qualche ora al computer, mi capita che una interruzione di corrente od un virus
mi faccian perdere il documento su cui non avevo speso che poche ore.
Se sto cosi’ male io per
una ragione in se’ cosi’ poco importante, chissa’ cosa significa per Nancy
accettare le parole che le sto per dire e fronteggiare un lutto cosi’ immenso.
Eppure non mi posso
schernire. Lei e’ venuta da me perche’ vuole sapere... ed ha il diritto alla
verita’. Non dirgliela potrebbe significare che il feto andrebbe in
putrefazione mentre ancora e’ ritenuto in utero; il mio silenzio potrebbe
causare danni alla salute della mamma, e forse anche la sua morte.
Non posso tacere. Devo
farmi coraggio.
Negare la verita’ al
paziente spesso non e’ una forma di pieta’, ma di codardia. Il mio dovere e’
quello di salvare la vita di Nancy, anche se la natura ha voluto darle questo
enorme dolore da portare in cuore.
Lo so che piangera’
disperatamente. Devo essere pronto anche a questo!
Ma ho il dovere assoluto
di convincerla a sottoporsi alle terapie del caso, in modo che il corpicino
senza vita possa esserle estratto e lei possa riguadagnare il suo pieno stato
di salute.
Che brutta questa parte
del lavoro del medico!
Mi faccio coraggio...
trangugio un po’ di saliva. Fisso il mio sguardo su un punto lontano nella
stanza semibuia; mi schiarisco la voce ripetutamente, e cerco di proferire
parole che piu’ volte mi si bloccano in gola, permettendomi solo di emettere
strani suoni gutturali... poi finalmente ci riesco, ed e’ come un’esplosione;
e’ come se dovessi liberarmi subito di quel segreto che non potevo piu’
trattenere:
“Mamy, il battito
cardiaco non c’e’ piu’. Il tuo bimbo e’ morto!”
Nancy guarda il soffitto;
le lacrime escono copiose dai suoi occhi, ma il suo pianto e’ muto. Si gira sul
fianco di colpo, e si copre la faccia con entrambe le mani: all’improvviso i
singhiozzi esplodono come un ordigno nucleare. Nancy urla e si dispera.
E’ davvero inconsolabile.
Io sto in silenzio, ma
non vado via. Le metto una mano sulla spalla per dirle la mia vicinanza.
Non diro’ parole inutili
e vuote. Le frasi di circostanza fanno sempre e solo danni. Staro’
semplicemente qui per tutto il tempo che le sara’ necessario... e poi la
ascoltero’ se mi vorra’ parlare.
Fr Beppe Gaido
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