lunedì 18 gennaio 2016

Emergenza

Siamo stremati perchè da stamattina alle 8 il flusso di pazienti non si ferma.
Abbiamo operato tanto e stiamo ora finendo una frattura di femore piuttosto complessa in un ragazzino di quattordici anni caduto da un albero di mango.
Sono quasi le 14 e l'operazione è a buon punto.
Ho chiuso muscolo e fascia dopo la fissazione interna dell'osso.
Mancano solo il sottocute e la cute. Poi bisogna mettere la doccia gessata.
Ecco però che arriva la notizia che mi rovina il pranzo: "distress fetale da Kaongo. Condizioni fetali pessime e situazione della madre molto precaria perchè si tratta di emorragia ante-partum".
Decido di lasciar finire a Makena, Marcella e Mbabu l'intervento ortopedico. Io, con Mama Sharon e Jesse, corro per l'emergenza ostetrica.
Ci mettiamo meno di sessanta secondi ad entrare in "sala operatoria piccola". In pochissimi minuti estraiamo il piccolo... che però non dà segni di vita.
Jesse lo rianima a lungo, ma non c'è niente da fare.
La paziente ci è stata trasportata in ritardo. Il suo bambino è in Paradiso.
Cerchiamo di fare le cose bene almeno per lei ed il cesareo finisce apparentemente senza problemi.
Ma, uscito di sala, mi rendo conto che Mbabu e Makena hanno già terminato la pausa pranzo e stanno portando in "sala operatoria grande" la paziente della cisti ovarica: "Datemi solo cinque minuti. Devo mangiare qualcosa, se no crollo in sala per ipoglicemia"
E così la giornata di oggi continua caotica e convulsa fino oltre alle 18.30.


Siamo tutti stanchissimi, mentre finiamo l'ultimo intervento, ma ecco che arriva la nuova complicanza: la donna del cesareo urgente ha sviluppano una coagulazione intravascolare disseminata ed ora sanguina abbondantemente. Bisogna riaprirla e cercare di fermare l'emorragia.
Quasi non ce la faccio a stare in piedi, ma non ci sono alternative.
Operiamo e suturiamo. Mettiamo ossitocina e trasfondiamo... ed intanto arrivano le ore 20, e davvero stasera non riesco neppure più a camminare.

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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