sabato 23 gennaio 2016

La chirurgia infettivologica

Oggi la giornata è stata pesantissima, con una lista operatoria di tutto rispetto.
Avremmo comunque potuto finire tutti gli interventi entro le 18, se non fossero arrivate le complicazioni...che al sabato non si fanno mai attendere.
Nel primo pomeriggio mi è stato chiesto di fare un’ecografia ad un giovane che da alcuni giorni era ricoverato per una grave forma di gastrite. Aveva una gastroscopia di poco tempo prima e quindi era stato messo in terapia senza fare altri esami diagnostici.
Il dolore però non era migliorato con le medicine, ed in più, da tre giorni, il malato non andava di corpo.
La palpazione addominale era abbastanza tipica di occlusione: la pancia era distesa e molto dolente. L’ecografia dimostrava anse intestinali distese e piene di liquido; c’era anche dell’ascite in peritoneo.
All’emocromo i globuli bianchi erano molto aumentati.
Tutto deponeva quindi per un addome acuto, ma, vista la storia clinica, onestamente ci aspettavamo una perforazione di ulcera gastrica o duodenale.
Invece in sede operatoria abbiamo trovato un volvolo ileale causato da aderenze molto resistenti su un pacchetto di linfonodi della parete addominale posteriore.



Le aderenze erano così difficili da liberare che si è verificata una perforazione del viscere ed abbiamo dovuto procedere a resezione intestinale. Abbiamo anche eseguito una biopsia di quei linfonodi, che onestamente non ci sembrano tumorali, ma piuttosto tubercolari. Vedremo se l’istologico ci darà ragione!
La peritonite tubercolare da noi è frequente e si presenta in modi molto differenziati: certamente le aderenze ed i grossi linfonodi del mesentere sono uno dei quadri che incontriamo più sovente...ecco perchè siamo abbastanza certi della nostra ipotesi diagnostica.
Ma non era ancora finita per noi!
Erano quasi le 18 quando abbiamo finito con questo paziente, ma sono stato chiamato a visitare un paziente a cui avevo fatto una prostatectomia cinque giorni fa.
I volontari mi dicevano che dal drenaggio usciva materiale fecaloide: all’inizio non ci volevo credere in quanto solitamente metto il tubo in posizione extraperitoneale, davanti alla vescica, in quello spazio anatomico che chiamiamo la tasca del Retzius: “non è possibile che escano feci da un drenaggio che non è neppure in peritoneo”, dicevo loro.
Ma, arrivato al letto del paziente, ho dovuto ammettere che avevano ragione: era materiale fecaloide molto liquido, come da perforazione ileale.
Non riuscivo a capacitarmi di cosa avesse potuto succedere. L’addome del paziente era in effetti piuttosto brutto, disteso e dolente, anche se non chiaramente peritonitico.
Nonostante la stanchezza non c’erano alternative al reintervento, se si voleva tentare di salvare la vita di quella persona!
Abbiamo analizzato dapprima lo spazio prevescicale, riaprendo la stessa ferita chirurgica della prostatectomia: la vescica era ben chiusa e non c’erano fistole urinose. C’era invece un buco nel peritoneo, e materiale fecaloide usciva alla destra della vescica: sembrava che ci fosse un’ansa perforata e attaccata al peritoneo.
A questo punto abbiamo aperto la cavità peritoneale con un’ampia incisione chirurgica ed abbiamo trovato un chiaro quadro di peritonite, con aderenze e materiale fecaloide.
Abbiamo staccato l’ansa sospetta dalla parete peritoneale a cui era appiccicata ed abbiamo notato un’ampia perforazione: anche in questo caso è stato necessario procedere a resezione intestinale. In seguito, mentre facevamo la revisione dell’intestino e la lisi delle aderenze, abbiamo trovato un’altra perforazione ileale: stavolta era piccola ed abbiamo potuto ripararla direttamente.
Abbiamo fatto partire le coprocolture e gli esami antigenici per la salmonella typhi sulle feci che abbiamo raccolto durante l’intervento: ci vorrà un po’ di tempo per avere i risultati, ma siamo abbastanza certi che si tratti di un caso molto sfortunato in cui un paziente operato di prostatectomia ha avuto una complicazione da febbre tifoide nel bel mezzo del post-operatorio.
Onestamente ci sentiamo stremati, ma in entrambi i casi pensiamo di essere intervenuti in modo tempestivo al fine di salvare la vita dei pazienti in questione.
In entrambi i casi si è trattato di malattie infettive che hanno sviluppato complicazioni chirurgiche.


Fr Beppe


Nessun commento:


Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


Guarda il video....