venerdì 8 gennaio 2016

Mango Season

Anche quest’anno è arrivata la Mango season, che per noi vuol dire essenzialmente due cose: da una parte la possibilità di gustare qualche buon frutto a tavola, e dall’altra il fatto che in ospedale si ricevono moltissimi casi di frattura, soprattutto in bambini ed adolescenti.
E’ infatti una tentazione immane per i bimbi salire sugli alberi di mango per impossessarsi dei loro dolcissimi frutti (lo facevo anche io da piccolo per andare a rubare le ciliege o le prugne!): i mango però pendono dalla parte più esterna e sottile dei rami. I bambini vi si avventurano ignari; il ramo cede ed essi rovinano a terra da altezze spesso notevoli.
Quest’anno, la frattura più frequentemente incontrata finora è stata quella del gomito (soprattutto la sovracondiloidea dell’omero), ma non sono mancate brutte fratture del polso ed anche del femore.
In questi giorni quindi la nostra attività chirurgico-ortopedica è decisamente intensa, soprattutto per pazienti in età pediatrica. A loro facciamo fissazioni interne, usando per lo più fili di Kirshner, al fine di evitare danni alle cartilagini di accrescimento.
Per il femore ai bambini mettiamo placchette che poi speriamo di rimuovere in tempi relativamente brevi, in quanto i pazienti giovanissimi fanno il callo osseo molto in fretta.
Quante volte in questi giorni mi farebbe comodo avere un ortopedico qui con me ad aiutarmi ed a fare gli interventi che per me sono ancora troppo difficili!



Ma, anche da solo, come sempre, cerco di fare del mio meglio per questi piccoli pazienti che arrivano piangenti ed in preda a dolori lancinanti.
Pure oggi abbiamo operato due bimbi: una era una femminuccia di quattro anni e mezzo con frattura del gomito, e l’altro un maschietto di otto anni con una brutta frattura complessa del polso. Entrambi i casi sono andati bene e ci hanno dato una bella soddisfazione.


Fr Beppe Gaido

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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