giovedì 7 gennaio 2016

Recensione di "Polvere rossa"

Cap 2: “Chaaria mi ha cambiato profondamente la vita… A Chaaria ho scoperto che cosa è la felicità”.
Cap 7: “Oggi mi sono svegliato con un umore pessimo e una sensazione di fallimento e di solitudine…”
Cap 25: “Nella vita ci sono dei momenti oscuri, smarrimenti… ci sentiamo soli…”
Fr. Beppe si presenta così nel suo secondo libro in cui racconta la sua esperienza di vita, come religioso e come medico, nel profondo Kenya.
Apparentemente, questa confessione ci appare come una grande contraddizione, in realtà al termine della lettura queste parole ci mostrano la sua fragilità umana, ma anche la sua profonda fede.
Questo secondo libro è la conferma di una testimonianza di come si può vivere integralmente la vocazione al dono della propria vita agli altri.
L’equilibrio che, in fondo, caratterizza l’azione di Beppe è riassunto in un’altra sua frase: “Il futuro è certamente nelle mani di Dio, ma anche un po’ nelle nostre ”. Egli non si tira indietro per nulla di fronte alle mille difficoltà, anche sconvolgenti, che incontra instancabilmente giorno e notte nel suo ospedale, perché dentro di sé ha la forza della fede.
I vari capitoli raccontano episodi fortemente commoventi che descrivono l’incontro con la sofferenza delle donne, delle mamme e dei bambini, ma anche episodi al limite della tolleranza che descrivono con una certa crudezza il contatto con la violenza e i suoi effetti sul corpo delle vittime (il capitolo 28 “non si può leggere!”).



Poiché ho avuto modo di conoscere Beppe, l’ospedale, l’ambiente periferico del Kenya, le problematiche di “convivenza” come mzungu (uomo bianco) in mezzo alla popolazione africana, mi sento di confermare la testimonianza sulla triste realtà dei ragazzi di strada, sulla fragilità e sottomissione delle donne nei confronti degli uomini dispotici e violenti, sul dramma dei malati di AIDS.
La perdita di un paziente, sia uomo, donna o neonato, viene descritta con sincera afflizione, fino al tormento di non sentirsi adeguato ai bisogni di quella gente.
“Donarsi senza riserve” include anche il senso di fallimento della propria opera, allorché il risultato non corrisponde alle attese rispetto alla propria disponibilità totale.
L’accettazione dei limiti è frutto della consapevolezza di aver fatto tutto il possibile, nonostante le contrarietà riscontrate in persone forse disperatamente ingrate.
Le riflessioni che scaturiscono dalla lettura del libro ci inducono a non continuare a ignorare l’esistenza di un mondo, quello africano, bisognoso di aiuti ben più essenziali e concreti da parte di tutti, in primis dai governanti del Paese, oltre che dai wazungu, come Beppe, che mettono la loro vita a disposizione, talvolta a rischio, dei poveri e dei malati, che appaiono abbandonati al loro destino.
L’ammirazione per l’opera meritoria di Fr. Beppe è bene che si trasformi in partecipazione concreta non solo per il sostegno e la continuazione di questo immane lavoro, che si protrae da quasi 18 anni, ma anche in vista di un inevitabile futuro di “africanizzazione” di Chaaria, come di tutte le iniziative attualmente sostenute dagli occidentali.
L’ultima parola del libro non per nulla è “sperare”, e non poteva essere altrimenti, ma sappiamo bene che oggigiorno anche sperare non è facile.

Nicola Samà

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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