mercoledì 10 febbraio 2016

Analisi di due settimane pazzesche

Oggi pomeriggio sono ripartiti per l'Italia Luciano e Toto (insieme a Francesca che pure ringraziamo).
Sono partiti chiaramente entusiasti dell'esperienza vissuta e del grandissimo lavoro svolto a Chaaria nella presente missione chirurgo-ortopedico-plastica.
Abbiamo lavorato come dei pazzi, compresi i sabati e le domeniche.
Gli interventi chirurgici eseguiti in questo periodo sono stati 148, di cui ben 96 sono stati di carattere ortopedico e chirurgo plastico.
Questo ha comportato orari di lavoro davvero estenuanti, non solo per noi ma anche per tutto il personale di sala. Sovente le sedute operatorie sono iniziate prestissimo (alle 6.30 del mattino) per poi finire dopo le 20.30. La pausa pranzo è stata quasi sempre un'illusione, ridotta a qualche boccone trangugiato in fretta mentre lo staff sbarellava un paziente, per riportarne in sala un altro.
Abbiamo sempre lavorato in due sale contemporaneamente, in modo da poter far fronte al numero dei casi che via via si presentavano.
Meno male che in questo momento abbiamo Michelle, anestesista di Kent nel Regno Unito, la cui presenza ha permesso di operare in contemporanea nelle due sale anche nei giorni in cui uno dei nostri anestesisti è di riposo.
Naturalmente, tra un intervento e l'altro, sia io che Luciano e Toto ci siamo dovuti "smazzare" un ambulatorio davvero pesante ed esigente.


Nella presente maratona ortopedica abbiamo inoltre accolto ed operato ben 27 pazienti dal Meru General Hospital. Si trattava di casi estremamente complicati, con plurifratture inveterate a volte di sei mesi. Gli interventi (soprattutto per le fratture più vecchie e più
complesse) sono stati lunghi e davvero complicati, ma con gioia oggi abbiamo operato anche l'ultimo paziente tra quelli provenienti dal Meru General Hospital.
Naturalmente, questa pressione di pazienti ortopedici e plastici ha creato un grave sovraffollamento in reparto, soprattutto nel reparto uomini, ma, in misura più contenuta,anche in pediatria e nel dipartimento delle donne.
L'atro grosso problema di sovraffollamento ce lo ha creato proprio l'ospedale di Meru, che, invece di mandarci i pazienti poco alla volta, man mano che procedevamo con gli interventi, ci ha "scaricato" 27 malati in un sol giorno. Questo fa sì per esempio che oggi abbiamo operato un paziente che era qui a Chaaria dal 29 gennaio in attesa...ma di più non si poteva fare.
Ormai la voce si è sparsa ed i pazienti ortopedici giungono a Chaaria a frotte...e non solo quando c'è Luciano. Pensate che, dopo la sua partenza alle ore 14, abbiamo ricoverato già altre due fratture da operare.
Sono state anche due settimane di collaborazione intensa con l'ospedale di Meru: il Dr Nyaga è venuto un giorno intero ad operare con noi, mentre la dottoressa Makandi ci ha supportato in varie sedute operatorie. Inoltre l'ospedale di Meru ha lasciato a Chaaria lo strumentario ortopedico, cosa che ci ha permesso di fare interventi a ripetizione, senza dover aspettare per la sterilizzazione dei ferri.
E' stato un periodo intensissimo anche in sterilizzazione, e naturalmente in reparto, dove gli infermieri sono stati sottoposti ad un aumentato carico di lavoro sia di giorno che di notte.
Ringrazio anche il personale della manutenzione, sempre efficiente e pronto per ogni guasto verificatosi, soprattutto al trapano e ad altro strumentario elettrico.
Avremo un'altra maratona ortopedica a maggio, e sarà probabilmente ancora più intensa della presente perchè dall'ospedale di Meru ci saranno delle richieste di aiuto per difficili chirurgie della mano (di cui Luciano è specialista).
Saremo nuovamente disponibili, anche se cercheremo di regolamentare meglio il flusso dei ricoveri, al fine di evitare sovraffollamento e pazienti che aspettino l'intervento per più di 10 giorni.
Siamo tutti esausti, ma estremamente riconoscenti per quello che si è fatto nelle ultime due settimane.
Grazie ancora, Luciano e Toto.

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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