martedì 9 febbraio 2016

Una coltellata

E' arrivata stasera quando ormai erano le 18.
Eravamo stanchi morti, avendo iniziato in sala alle 6.30 del mattino dopo una notte costellata di ben due emergenze.
La tentazione di rimandare all'indomani era fortissima, ma le condizioni generali della sventurata ce lo hanno sconsigliato...bisognava agire con urgenza.
Abbiamo radunato le poche energie rimasteci ed abbiamo programmato l'intervento.
La storia era brutta: accoltellata nella pancia giorni prima; suturata in un altro dispensario, ed ora in condizioni generali disperate a causa di un addome acuto. L'ecografia dimostrava abbondante liquido intra-peritoneale, mente l'auscultazione dell'addome era silenziosa: nessun movimento peristaltico.
L'emoglobina era di sei, ed in frigo non avevamo sacche di sangue. La paziente era febbricitante e probabilmente settica.
Aspettare l'indomani avrebbe significato quasi sicuramente che sarebbe morta durante la notte...il ricordo di quello che è successo quando abbiamo operato Mercy è ancora freschissimo nella nostra mente.


Entriamo quindi in sala verso le 19: la coltellata aveva in effetti causato la perforazione di un'ansa intestinale, ed in addome c'era una quantità enorme di liquame di origine ileale. Abbiamo dovuto passare con calma tutto il tenue ed anche il colon. Abbiamo guardato con attenzione stomaco e duodeno...finche alla fine siamo riusciti a trovare l'ansa perforata. Abbiamo fatto una brevissima resezione, invece di affidarci ad una semplice sutura che non riteniamo mai veramente sicura. Abbiamo lavato la cavità peritoneale e per le 20.30 eravamo fuori dalla sala.
Speriamo che ce la faccia e che sopravviva alla peritonite ed alla sepsi.
Anche in questo caso ci siamo trovati di fronte ad una emergenza a cui siamo stati in grado di rispondere immediatamente.
Mi sento ora davvero stremato e spero vivamente che stanotte non ci siano chiamate.

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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