mercoledì 17 febbraio 2016

Tragedie di alcool, terra ed ignoranza

Jakobu ha circa 65 anni, ma li dimostra proprio tutti. Ha firmato il consenso all'intervento apponendo l'impronta digitale del pollice sulla cartella clinica.
Non sa scrivere perchè non è mai andato a scuola, ma non potrebbe neppure farlo in questo momento, visto che ha un profondissimo taglio da machete sul gomito destra, ed un altro altrettanto grave sulla mano sinistra.
C'è anche una ferita orizzontale appena sotto il naso: questa avrebbe potuto essere mortale se il machete fosse arrivato qualche centimetro più avanti ed avesse fratturato la teca cranica. Invece, fortunatamente se la caverà con una sutura semplice.
Quando il paziente è già in sala facciamo le lastre con il fluoroscopio: la ferita da machete è sempre molto pesante e normalmente è assai più devastante che non quella di un coltello.
Infatti, oltre ai tendini estensori della mano sinistra, la panga ne ha reciso anche due falangi.
Pure il gomito destro è fratturato, e l'arma usata ha tagliato di netto l'olecrano dell'ulna come se fosse stata di burro.
Ci rendiamo conto che si tratterà di un lungo intervento ortopedico che richiederà molta pazienza.
Per la mano sinistra mettiamo prima due fili di Kirshner, al fine di ridurre e fissare le fratture falangee, e poi facciamo le tenorrafie su quattro dita.


Per il gomito destro si tratta di eseguire una riduzione aperta della frattura ed una fissazione interna con due fili di Kirshner ed un cerchiaggio in filo metallico.
Alla fine dell'intervento il povero Jakobu ha un gesso sia a destra che a sinistra e dovrà quindi essere assistito pure per l'alimentazione, oltre che per i servizi igienici, per la pulizia
personale e per vestirsi e spogliarsi.
Durante le molte ore richiesteci dall'intervento, è stato piuttosto normale per me chiedere: "ma chi è che ha ridotto così una persona anziana?"
Makena ne era al corrente e subito mi ha detto che si è trattato del figlio: hanno litigato per un pezzo di terra, come spessissimo accade da queste parti.
Il figlio era anche ubriaco ed ha colpito selvaggiamente il padre.
Ancora una volta ci siamo trovati a dover riparare gli esiti devastanti di una violenza che è foraggiata da tre elementi assai comuni: ignoranza, alcolismo e smania per la terra.

Fr Beppe



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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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