mercoledì 2 marzo 2016

Il nostro saluto a Sr. Cecilia

Dopo 10 anni di umile servizio ai Buoni Figli di Chaaria, domattina Sr Cecilia verrà trasferita nella missione cottolenghina di Tuuru, dove continuerà il suo servizio.
La ringraziamo per la sua testimonianza di disponibilità, di distacco e di obbedienza.
Abbiamo accolto con un certo dispiacere la notizia della sua partenza, perchè con lei abbiamo lavorato bene ed abbiamo vissuto sempre in un clima di fraternità, nonostante le inevitabili piccole frizioni della vita comune.
Sr Cecilia per 10 anni si è presa cura del guardaroba dei Buoni Figli, che ora già la rimpiangono e ne sentono la nostalgia.
Da una settimana a Chaaria è arrivata Sr Evanjeline dalla comunità di Nairobi: essa prenderà il posto di Sr Cecilia, ricoprendone anche le mansioni.
Ieri sera abbiamo condiviso una cena fraterna tutti insieme nella comunità delle suore, allo scopo di salutare Sr Cecilia e di dare il benvenuto a Sr Evanjeline.
Oggi pomeriggio il nostro saluto alle due sorelle si è trasformato in preghiera: è stata infatti celebrata una Messa, insieme a tutti Buoni Figli, a cui è seguito un piccolo party in cui sentimenti di gioia e dolore erano palpabili allo stesso tempo.
Domattina la superiora Sr Joan, insieme ad una delegazione di Buoni Figli, accompagnerà Sr Cecilia a Tuuru, dove l’obbedienza le assegnerà un nuovo servizio a favore dei piccoli e dei poveri.


Promettiamo a Sr Cecilia la nostra fraternità e la nostra preghiera, e, se non potremo incontrarci spesso a motivo della distanza e delle esigenze di servizio, sappiamo che potremo sempre incontrarci alla Mensa Eucaristica a cui partecipiamo ogni giorno.

La comunità di Chaaria


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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