mercoledì 9 marzo 2016

Parto distocico al buio

Ieri notte avevo dormito malissimo perchè mancava la luce e siamo sempre molto tesi quando l’ospedale deve funzionare di notte con i soli pannelli solari.
Fr Giancarlo infatti è stato chiamato per tre volte in varie parti della missione rimaste al buio in momenti particolarmente difficili per il servizio, perchè il sistema solare era andato in trip. Anche lui ha quindi dormito poco e male.
A me invece è successa un’eperienza molto particolare.
Stavo facendo partorire una donna usando il forcipe, in quanto la testa del feto era ancora un po’ alta; la mamma aveva una cicatrice da pregresso cesareo ed aveva addirittura provato a partorire a casa; inoltre non aveva più forza fisica per spingere.
Proprio nel bel mezzo di questa procedura di per sè molto ansiogena, il sistema solare della maternità ha avuto un problema e siamo rimasti nelle tenebre più assolute.
La mamma fortunatamente è rimasta tranquilla, ma io tremavo: la luce era mancata in un momento particolarmente critico, e cioè mentre ancora avevo il forcipe inserito, e la testa del bimbo era mezza dentro e mezza fuori.


Anche Eunice l’infermiera era impegnata con me: era infatti pronta con le clamp e con le forbici per tagliare il cordone ombelicale.
Sia io che lei dunque non ci potevamo muovere perchè avevamo le mani impegnate.
E’ stato grazie alla luce del mio telefonino che Dorothy (la nostra assistente della notte) mi ha estratto dalla tasca che abbiamo potuto far nascere quel bambino che ha subito pianto vigorosamente.
La mamma forse è abituata a non avere elettricità a casa perchè non ha battuto ciglio ed ha semplicemente iniziato a pregare ed a ringraziare Dio per la nuova vita che le era stata donata.
Appena ho potuto togliermi i guanti sterili, è bastato riaccendere un “salvavita” nel pannello di controllo per far tornare la luce dei “solar” in sala parto e per completare tutte le operazioni necessarie, sia per la mamma che per il bambino.

Fr Beppe Gaido


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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