lunedì 18 aprile 2016

Se avessi la lampada di Aladino...

...la cosa che mi piacerebbe di più veder realizzata in questo momento sarebbe la costruzione di un nuovo reparto che ci consentisse di separare i pazienti medici da quelli chirurgici.
Il desiderio che esprimerei al genio della lampada sarebbe quello di poter realizzare un blocco chirurgico in cui poter avere stanze di degenza separate, per gli operandi e gli operati rispettivamente, sia per gli uomini che per le donne.
Sarebbe davvero bello se un giorno questo desiderio si potesse realizzare: si ridurrebbero le infezioni crociate (pensate per esempio a quanto delicato possa essere il decorso post-operatorio per un paziente ortopedico, per un ustionato o per un soggetto che ha avuto un innesto cutaneo), e soprattutto il post-operatorio potrebbe essere seguito molto meglio di quello che riusciamo  a fare oggi.

Se avessi la lampada di Aladino, chiederei anche al genio di darmi fondi economici sufficienti per poter pagare qualche infermiere in più, in modo da poter avere personale completamente dedicato alla chirurgia. 
Oggi per esempio abbiamo fatto una difficile gastrectomia (praticamente totale) ad un paziente con un tumore dello stomaco localmente molto avanzato. 
L’intervento è stato duro ed estenuante, ma è andato bene. In sala abbiamo iniziato una trasfusione, sia perchè il paziente aveva sanguinato un po’ durante l’operazione e sia soprattutto perchè era anemico di base a motivo del tumore. 



Sono passato più tardi a vedere il malato: la trasfusione era finita ed ho richiesto all’infermiere di reparto di togliere la sacca vuota. Me ne sono andato quasi subito perchè in sala parto mi aspettavano per un raschiamento. Tale procedura è durata dai 15 ai 20 minuti, dopo i quali ho deciso di tornare di nuovo dall’omino operato allo stomaco (inutile negare che sono un po’ ansioso per quel decorso post-operatorio!): ho però notato che la sacca vuota era ancora collegata alla vena come prima, e che non erano stati iniziati gli altri fluidi del piano terapeutico...ma come potevo lamentarmi con l’infermiere, visto che a quell’ora era rimasto da solo in turno ed aveva sulle spalle un reparto di oltre quaranta pazienti, tutti bisognosi e gravi.
Sì, ci vorrebbe del personale dedicato sia per i pazienti chirurgici e naturalmente anche per quelli medici: soprattutto ci vorrebbe più personale, ma il problema sono sempre i soldi per pagare gli stipendi.
In maternità e pediatria siamo già un po’ più avanti nell’organizzazione del lavoro, ed abbiamo infermiere primariamente preposte all’uno o all’altro settore.
Per il reparto generale, il cosiddetto “Mother Marianna Nasi Bock”, siamo ancora un po’ lontani da questo ideale: al momento l’unica divisione esistente è quella tra uomini e donne, ma poi le patologie mediche e quelle chirurgiche convivono tutte insieme, mentre il personale infermieristico è poco ed inoltre deve dividersi tra pazienti medici e chirurgici.
Non sarà domani, anche perchè la lampada di Aladino non ce l’abbiamo, ed i fondi richiesti sono tanti, ma continuiamo a sognare che un giorno anche a Chaaria potremo avere reparti separati per la chirurgia e per la medicina, con staff sufficiente e separato per i due settori.
Per adesso ci preghiamo su, e, quando piacerà al Signore, anche questo tassello del grande mosaico di Chaaria potrà prendere forma.


Fr Beppe

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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