lunedì 31 ottobre 2016

L'orfana di Mucothima

Sono ormai passate quattro settimane da quel giorno in cui la sua mamma era stata trasportata a Chaaria per una emorragia post-partum.
La piccola era nata a Mukothima, apparentemente senza problemi, ma poi la mamma non aveva più smesso di sanguinare, dopo il parto spontaneo. Era arrivata in pessime condizioni ed avevamo diagnosticato in pochi
minuti una rottura d'utero. Avevamo tentato di salvarla con una isterectomia d'urgenza e con trasfusioni di sangue, ma le sue condizioni erano così compromesse che era deceduta sul tavolo operatorio, lasciandoci depressi e confusi.
Da allora la bimba è con noi.
Il papà verrà a riprendersela, ma non sappiamo bene quando. Le suore di Mokothima sono in contatto con lui, ma noi non facciamo pressioni per dimettere la piccola. Non sappiamo neppure come vorrà chiamarla: quel giorno era chiaramente sconvolto e non poteva certo avere la mente lucida per decidere; da allora poi non lo abbiamo più visto.
Per adesso le abbiamo dato il nome della sua mamma...poi il suo babbo vedrà cosa fare.
Sta generalmente benino e non ha mai dato problemi particolari con le sue condizioni di salute.



Si alimenta bene con il latte in polvere e cresce in maniera adeguata. Per ora anche questa piccola orfana, la cui mamma è tristemente mancata sotto i nostri occhi, è parte della nostra famiglia a Chaaria, e cerchiamo di darle affetto e cure.


Fr Beppe

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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