domenica 30 ottobre 2016

Morta prima dell'intervento

Charity era totalmente incosciente quando l’abbiamo ricoverata questa mattina. Aveva le pupille bianche come un lenzuolo, il respiro superficiale, la pelle fredda come il ghiaccio. Gli infermieri del turno di notte sarebbero dovuti andare già a dormire, ma chi poteva permettersi di lasciare una paziente in quelle condizioni? 
Mi hanno chiamato d’urgenza mentro ero ancora in cappella a pregare. So che se mi disturbano anche quando sto pregando è perché l’urgenza è davvero grave.
Charity sembrava ancora una bambina: corporatura minuta e viso di una dolcezza sconcertante in un momento così drammatico per la sua sopravvivenza. Sembrava stesse solo dormendo. Sembrava un angelo, a parte la sporcizia che la ricopriva tutta. Devono aver viaggiato moltissimo lei e suo marito. “Siamo di Kathangacine, in Tharaka, abbiamo viaggiato di notte”. Non voglio immaginare le condizioni di quel trasporto per una paziente in coma. Kathangacine è a circa 70 chilometri di strada sterrata da qui.
Il monitor segnava 40 battiti al minuto. Non so come riuscisse a stare in vita. Le ho iniettato un po’ di adrenalina per pompare il suo cuore stremato. Ho recuperato al volo l’ecografo portatile e la diagnosi di anemia è stata immediata. 




La donna aveva una gravidanza tubarica rotta. “Da quanto tempo tua moglie ha queste perdite vaginali?”, ho chiesto al marito. “Da domenica scorsa”. “E perché non siete venuti prima?”. “Non avevamo soldi. E poi pensavamo che passasse”. “Ma non lo sai che un’emorragia in gravidanza è sempre pericolosissima per una donna?”. “No. Ti chiedo scusa, dottore, sono solo un contadino”. “Adesso devi firmare il consenso informato, anche se le probabilità che tua moglie sopravviva all’intervento sono davvero basse”. L’uomo non ha battuto ciglio, chissà se ha capito... Gli ho dato l’inchiostro e ha premuto il suo pollice sul punto del foglio che gli ho indicato per la firma.
Ho portato Charity in sala operatoria a spalle, non c’era tempo per cercare una sedia a rotelle. Appena dentro, è andata in arresto cardiaco, rimettendo del latte cagliato. Forse gliel’avevano dato durante il trasporto per darle forza. Jesse, uno dei miei più fidati collaboratori, ha tentato l’impossibile ma Charity non ce l’ha fatta.
Aveva solo vent’anni. Lascia un marito distrutto con due figli da mantenere. Se n’è andata mentre era al secondo mese di gravidanza. La sua vita è stata stroncata soprattutto dall’ignoranza. Se fosse andata a scuola, se avesse studiato, avrebbe saputo che non si sta a casa aspettando che un’emorragia così si fermi da sola. Ma è stata uccisa anche dalla povertà. Tra Kathangacine e Chaaria non ci sono altri ospedali in grado di eseguire interventi chirurgici. La strada è dissestata, e di notte di mezzi pubblici neanche l’ombra. Pagare una cifra esorbitante per affittare un’auto per una famiglia come questa è impossibile.
Charity è l’ennesima, drammatica testimonianza del fatto che il diritto universale alla salute è ancora un miraggio per gran parte dell’umanità. Come moltissime persone, anch’io sono qui proprio per fare in modo che le cose cambino, ma quello che facciamo è sempre troppo poco. La morte è sempre una sconfitta che faccio fatica ad accettare.

Fr. Beppe

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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